Grandi opere sociali. Metti in un giorno d’autunno, una tenda a Brignole

Metti in un giorno d’autunno, una tenda a Brignole

Waterfront, Skymetro, Tunnel Subportuale, Terzo Valico. Tutto molto bello. Ora però abbiamo bisogno di grandi opere sociali.
8 Gennaio 2025
3 min
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Metti che un giorno scendi dai bricchi e vai in centro a Genova per le solite “vasche”, per delle commissioni o semplicemente per andare al lavoro. Passeggi per il centro arrivando alla stazione Brignole con i suoi giardini sempre più cementificati per far spazio ai bus, ma che comunque ancora parzialmente resistono ed esistono come zona verde.

Sei lì che stai decidendo se andarti a mangiare una slerfa di focaccia o prenderti qualcosa di caldo quando l’occhio ti cade su un qualcosa che, avendo gli alberi e un prato come sfondo avrebbe pure senso – a rigor di logica – ma che essendo nel pieno centro di una città invece non torna.

Ossia una tenda. Piccola. Montata male. Scivertata. A due passi da una fermata del bus. Non è d’intralcio e migliaia di persone ci passano vicine ogni giorno.

A guardare bene poi ti rendi conto che a viverci è una signora di una certa età, raggomitolata in un sacco a pelo e circondata da dei fagotti che sono probabilmente i suoi pochi averi personali. Se ne sta lì distesa parzialmente nascosta all’interno.

Non ho una grande conoscenza della popolazione dei senzatetto di Genova, ma passando da quelle parti di frequente mi pare di ricordare che lei sia arrivata lì di recente. Forse poco prima dell’estate. Avevo cercato di capire chi fosse e cosa potesse averla portata lì ma senza risultato.

Tranquilli, questo articolo non vuole impregnarsi di stucchevole perbenismo o moralismo natalizio per strapparvi un sentimento di bontà.

Ma è invece l’occasione per dare seguito ad una riflessione che covavo da diversi mesi.

Fa parte di ogni buona forza populista, di destra o sinistra, mettere enfasi sulle “grandi opere”. Inoltre di recente vanno molto di moda parole come “smart city”, “restyling urbano” e via dicendo. C’è questa febbre di rinnovare, modernizzare, ripensare. Che di per sé non sono concetti sbagliati. 

Diciamocelo: Genova aveva ed ancora ha bisogno di essere ripensata a livello urbano, perchè i tempi sono cambiati.

Ci sono più macchine, più negozi, più movimentazione di merci. Le scienze delle costruzioni hanno fatto grandi passi avanti ed è giusto che i palazzi vengano rinnovati e resi più sicuri ed efficienti a livello di risparmio energetico.

Poi non è un peccato desiderare edifici con design moderni e riempirsi gli occhi con uno skyline piacevole. Ma c’è un aspetto che invece negli anni recenti pare essere stato lasciato indietro, a meno che non abbia voluto dire entrate economiche: le persone. I genovesi.

Trovo apprezzabile ed ammirevole che Genova sia divenuta una meta turistica cosi rinomata.

Confrontandomi con gente più adulta di me, esce spesso il discorso che fino all’Expo del 1992 era impensabile immaginarsi una Genova come meta turistica. A me come genovese fa piacere (anche quando i foresti chiamano “pizza bianca” la focaccia al formaggio). Comunque sono qui e stanno dando valore ad una città a cui voglio bene.

Ma vi ricordate le battute iniziali della trasformazione del centro città in vetrina? Non fu proprio tutta rosa e fiori.

Una di quelle fu la famosa ordinanza a salvaguardia del decoro, che prevedeva le multe per chi bivaccava in centro. Fondamentalmente per i senzatetto. Sembrava che i senzatetto fossero la minaccia principale, tipo i meganoidi di Daitarn 3.

Il messaggio che arrivò in fin dei conti era: il problema non è che sei un senzatetto, che dormi per strada, che non hai un posto dove lavarti regolarmente o vivere. Il problema è che lo fai proprio qui, in centro. Il problema non è che fai accattonaggio per sopravvivere, è che lo fai dove ti vediamo. Spostati e andrà tutto bene. 

Oggi mi ritrovo di fronte a questa tenda vicino ai giardinetti di Brignole e mi sento come il professor Grant quando trova le uova schiuse di dinosauro nel Jurassic Park. Ovviamente con meno entusiasmo ma con più una sensazione di amarezza.

Come in quell’opera di fantasia non ci poteva illudere di dominare la vita e l’evoluzione, cosi nella realtà non ci si può illudere che basti spostare, multare o provare a dimenticarsi di un problema per risolverlo o farlo sparire.

Perché di certo un senzatetto che bivacca e infastidisce i passanti, magari in modo violento o aggressivo è una situazione di cui prendersi cura. Il nodo però sta nel come si decide di farlo.

Magari con un approccio innovativo o solamente moderno alle politiche sociali. Con più risorse stanziate, o forse solo gestite diversamente. Con una organizzazione che sappia gestire la routine e che non debba vivere in una costante gestione delle emergenze. Omeglio, che le emergenze inizino ad essere interpretate e gestite come routine, portando alla creazione di percorsi risolutivi efficaci.

Waterfront, Skymetro, Tunnel Subportuale, Terzo Valico e mastodonticità tecnologiche. Tutto molto bello. Ora però abbiamo bisogno di grandi opere sociali.

Avete pensato e realizzato (almeno sulla carta) Genova. Ora è il momento di ripensare ai genovesi. Di “rifare” i genovesi. Che società vogliamo costruire? A chi stiamo demandando la responsabilità di immaginare il futuro?

Forse per l’età media tra le più alte d’Europa, cadiamo spesso nella trappola del “non è più come una volta”. Ma la sfida è proprio questa: pensare a qualcosa di nuovo che faccia tesoro delle esperienze del passato ma che sia figlia del tempo presente e che guardi al domani.

Immagine di copertina:
Foto di Martin Junius


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