Quella tra la Liguria e le mareggiate è un’associazione comune. I cosiddetti “colpi di mare”, specie nella stagione invernale, regalano scenari unici, attirando sia i turisti che gli stessi liguri, che, per quanto habitué, difficilmente resistono al fascino delle imponenti ondate nella cornice di un rosso tramonto invernale.
Uno spettacolo che, nella sua incantevole bellezza, trae in inganno, e che in poco tempo può trasformarsi in vero e proprio incubo.
Seppur non in gran numero, sono diversi infatti gli episodi di mareggiate ricordate per l’incredibile violenza con la quale si abbatterono sulla costa ligure, causando enormi danni e in alcuni casi vittime; episodi che molto difficilmente verranno cancellati dalla memoria di chi li ha vissuti in prima persona.
1955: la mareggiata del secolo
L’evento marino di maggior portata nella storia moderna della città di Genova è sicuramente la mareggiata del ’55, che deve la nascita dell’espressione “mare forza 1955”, usata dai marinai per indicare tutti quegli eventi marittimi che la ricordavano per l’impetuosità.
Mareggiata che rimane alla memoria dei genovesi come “quella volta in cui il mare è stato più forte della difesa che l’uomo gli aveva imposto”.
È il 19 Febbraio, prime ore del mattino. Soffia un impetuoso vento di libeccio su Genova, grosse ondate investono la diga foranea, è l’inizio di uno degli eventi meteorologici marini che più segneranno la costa ligure e il suo capoluogo. Dalle isole Baleari una tempesta di libeccio con un mare ben strutturato e molto potente sta risalendo il Mediterraneo, pronta a scagliarsi sulla Liguria.
Alle ore 14:00 le onde sono altissime e iniziano ad aprire una breccia nella diga, all’altezza dell’estremità del bacino di Sampierdarena.
Dopo un’ora si avvertivano via radio tutte le navi dirette a Genova che date le condizioni meteorologiche sfavorevoli, la pilotina le attendeva a ridosso, e sarebbero state date le istruzioni sulle manovre da seguire.
La petroliera statunitense Camas Meadows quel giorno era ancorata alla calata Derna, e proprio in questi momenti, dopo il crollo della diga foranea, viene investita da imponenti cavalloni che strappano gli ormeggi. La nave impatta il fianco sinistro contro la calata, si apre uno squarcio di grandi dimensioni, e poi sotto la furia implacabile dei marosi si rovescia su un fianco e affonda.
Il pilota e gli ormeggiatori che erano a bordo riescono a mettersi miracolosamente in salvo grazie a un cavo lanciato da terra. Negli stessi momenti anche la petroliera Atlantic Lord strappa gli ormeggi, sfondando il pontile nord Permolio, e la pirocisterna Giove alla calata Derna rimane solo sulle ancore.
A questo punto le tre navi urtano violentemente tra di loro, mentre gli equipaggi tentano di sfuggire alle onde violentissime.
La cronaca dell’epoca riporta un’altezza delle onde al di fuori della diga foranea di Genova di addirittura 30 metri, valore che pare assurdo considerando di essere in pieno Mediterraneo e per di più sotto costa. In realtà osservando i rilievi fotografici e le testimonianze di allora si stima che l’altezza media dell’onda osservata durante la mareggiata del 1955 fosse di circa 7 metri, con punte di 11-13 metri.
I valori di vento misurati nella giornata del 19 febbraio 1955 furono senza precedenti: all’osservatorio della marina Militare dell’Isola Palmaria (SP) si registrò un valore di vento medio superiore ai 100 km/h dalle 13 alle 19, e i valori non furono molto diversi nel capoluogo e in tutto il genovesato orientale.
Le onde apparivano con una forma quanto mai irregolare, dovuta dall’unione di un mare primario di Libeccio, più potente, e uno secondario di scirocco che deformava i marosi.
Dopo una breve e aggressiva fase ascendente il 19 febbraio, seguì un più lungo periodo decrescente, che determinò un aggravarsi dei danni prodotti. Come risultato si ebbe il verificarsi di due episodi molto rari: il capovolgimento di un tratto di oltre 300 metri della diga foranea di Genova e il congiungimento delle acque dei due golfi di Sestri Levante.
I danni alla diga foranea furono di portata catastrofica: si aprirono sei brecce in punti diversi, ci furono danni alla scogliera esterna e al parapetto superiore del paraonde, come conseguenza fu inevitabilmente compromessa la stabilità di tutto il tratto di levante della diga, noto come molo duca di Galliera.
Ma la domanda che tutti si posero fu: “Perché la diga cedette?”
La risposta è ovvia: perché il mare è stato più forte degli ostacoli che l’uomo gli ha imposto. La diga foranea era una diga a parete verticale, la tipologia più diffusa all’epoca. Si credeva essere la più efficace dato che riusciva a impedire il frangersi delle onde evitando quindi le rotture che invece erano frequenti nelle dighe a scogliera. Nonostante i calcoli dimostrassero l’estrema efficacia di questo modello, fu il mare a dimostrare che neppure il nuovo sistema era perfetto, e i danni alla diga furono di enorme portata.
Un evento che si concluse quindi con un bollettino danni pessimo per la città di Genova, e che costò l’intera ricostruzione dell’ampio tratto di diga foranea distrutto.
1976/77: la furia del mare su Lavagna
La cittadina di Lavagna, nel cuore del Tigullio, pagò i suoi conti con la furia del mare nell’autunno inverno 1976-77, quando tre violente mareggiate si abbatterono sul tratto costiero devastando gran parte delle infrastrutture fronte mare: la prima (novembre 1976) iniziò ad erodere il litorale, la seconda (2-3 Dicembre) provocò la gran parte dei danni alla ferrovia, la terza ed ultima (Gennaio 1977) seppure meno intensa, trovò poche e deboli difese di fronte ai binari, e sfondò il muro di contenimento della ferrovia per poi inghiottirli.
La mareggiata del 2-3 dicembre 1976 si presentò con una configurazione di libeccio lungo, con venti impetuosi su tutta la riviera di Levante e sulla città di Genova e raffiche fino ai 110 km/h a Capo Mele.
La maggior parte dei danni legati ai marosi furono però registrati proprio a Lavagna, qui gli stabilimenti balneari su palafitte furono spazzati via e i binari della linea ferroviaria che costeggia il litorale (la linea Genova-Roma) furono piegati e inghiottiti dal mare.
Durante tutto l’anno 1977 furono trasportante migliaia di tonnellate di materiale per costruire una spiaggia lunga 600m davanti ai nuovi binari, che aveva l’obiettivo di contenere per quanto possibile la furia del mare negli episodi successivi. Idea che si dimostrò vincente: ancora oggi la spiaggia è integra e non si sono mai più verificati episodi della stessa gravità.
1989: la mareggiata di Camogli
Altro evento di straordinaria potenza fu quello del 26 febbraio 1989, passato alla storia come “La mareggiata di Camogli” e definito dai meteorologi “La seconda mareggiata forza 1955”.
Si configurò come una mareggiata di libeccio lungo che colpì principalmente la riviera ligure di Levante, in particolare il genovesato orientale e il Tigullio. Le cittadine a subire più danni questa volta furono i borghi di Camogli e Genova Nervi.
La splendida giornata di sole trasse in inganno i liguri che si riversarono in riviera per ammirare lo spettacolo dei marosi che spumeggiavano sotto costa. Spettacolo che ben presto si trasformò in tragedia.
A Camogli gli stabilimenti balneari furono completamente distrutti, e una potente ondata frantumò la vetrata della Basilica di Santa Maria Assunta, rendendola inagibile. A Genova Nervi il mare raggiunse i binari sovrastanti la passeggiata mare, e le raffiche di vento sventrarono il pallone della piscina coperta Mario Massa e scoperchiarono totalmente uno dei ristoranti della passeggiata Anita Garibaldi.
Al termine dell’evento meteorologico del 1989, la regione Liguria chiedeva lo stato di calamità, vedendo l’intero litorale distrutto: furono cancellati centinaia di metri di spiagge, si verificarono ingenti danni alle strutture dei porticcioli, e svariate imbarcazioni furono inghiottite dal mare.
2008: l’inferno del Fantastic nel porto di Genova
Più recente l’episodio dell’ottobre 2008, quando si abbatteva sul litorale genovese una potente mareggiata di libeccio corto, erodendo la costa tra Celle ligure e Sestri Levante, mentre in mare la motonave Fantastic (Grandi Navi Veloci) tentava di entrare nel porto di Genova evitando il ribaltamento sotto la furia del vento e delle potenti ondate.
Proprio questa rimarrà l’immagine-simbolo dell’evento, la nave che, guidata dal capitano Filippo Renato Sorci, entra nell’avanporto di Genova con un’impressionante rollata di più di 30 gradi, facendo tremare anche chi, dalla costa, la stava osservando combattere contro la furia del mare in tempesta.
La Capitaneria di porto di Genova aveva mandato un comunicato alla sala comandi del Fantastic che consigliava di mantenere la nave lontana dal porto viste le condizioni meteo proibitive, Sorci provò due volte a virare mettendo la prua al vento, ma una pinna laterale stabilizzatrice andò in avaria e la nave iniziò a rollare pericolosamente. A questo punto il comandante capì che sarebbe dovuto entrare in porto a tutti i costi.
Alle 08:45, avendo ormai avvicinato troppo il Fantastic alla diga foranea, Sorci tentò le manovre per l’“accostata di emergenza”, e dopo altre due spaventose rollate che fecero cadere tutto ciò che era all’interno della nave, l’imbarcazione fu condotta all’interno dell’avanporto. Qui Sorci diede l’ordine di gettare l’ancora per evitare che il traghetto andasse a sbattere contro la banchina della torre piloti; sul fondale l’ancora tranciò un tratto dell’acquedotto cittadino e i cavi che fornivano energia elettrica al porto.
Dopo questo viaggio infernale il Fantastic era finalmente salvo, e così il suo equipaggio, seppur si contarono feriti gravi che furono trasportati a terra in emergenza.
Insomma, la Liguria e la città di Genova, che nella storia hanno visto nel mare una fonte di ricchezza, si sono trovate più volte a dover fare i conti con un mare diverso, che, sfoderando il suo peggior ruggito, si era trasformato in nemico e distruttore. Momenti che rimangono impressi nella memoria di chi li ha vissuti, a ricordare che quell’incantevole manto blu sarà sempre imprevedibile e che l’uomo, nel desiderio di domarlo, inevitabilmente fallirà.
Immagine di copertina:
Foto di Caleb George
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