Lens vuole essere una lente di ingrandimento su alcune realtà che appartengono al cambiamento climatico e all’egoismo di noi tutti. Con Lens, Zena Verde non ha consigli da dare, ma crudeltà da denunciare per una maggiore consapevolezza da parte di ognuno di noi.
Quando parliamo di ecosistema marino, lo facciamo senza considerare la fragilità del suo equilibrio. Infatti, alterare lo stesso può comportare conseguenze disastrose, non solo per l’ecosistema ma anche e soprattutto per la salute dell’essere umano.
Chi abita il mondo marino? Abitanti eccezionali di questa immensa casa chiamata oceano sono i cetacei
Questi sono grandi mammiferi che discendono da progenitori terrestri. Essendo mammiferi e a sangue caldo, partoriscono e allattano i proprio cuccioli pur trascorrendo la loro intera esistenza in mare.
Una ricerca del Fondo Monetario Internazionale, dimostra che i cetacei, in particolare le balene, sono in grado di assorbire il 40% di tutta la CO₂ prodotta nel mondo, ossia circa 37 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, nonché una quantità pari a quattro Amazzonie.
I grossi mammiferi assorbono CO₂ semplicemente respirando e in questo modo, rivela lo studio, portano in superficie minerali fermi in profondità e li muovono nei mari.
Tali minerali sono cruciali per lo sviluppo del fitoplancton, il gruppo di organismi più efficiente nell’assorbire anidride carbonica. Secondo i biologi, il plancton è tanto più abbondante quante più balene ci sono nei dintorni.
È bene evidenziare che quella dei cetacei non è la soluzione al problema delle emissioni di CO₂ in atmosfera né al problema del riscaldamento globale, ma rappresenta un contributo naturale consistente e non trascurabile. Gli oceani, pertanto, sono dei veri e propri polmoni regolatori del clima e fonte di vita.
Purtroppo però, la caccia alle balene praticata in alcuni paesi come Giappone, Islanda e Norvegia ne ha ridotto drasticamente la popolazione. Alcune specie come le balene blu sono quasi totalmente scomparse.
Un massacro incomprensibile da parte dell’uomo avviene ogni anno a danno di questi splendidi esemplari: solo il covid aveva parzialmente interrotto questa ingiustificata mattanza, che adesso è ripresa a pieno ritmo, per giunta con record negativi.
A settembre 2021 infatti si è svolto il Grindadrap, una tradizione per gli abitanti delle Isole Faroe e della Danimarca. Una vera e propria pratica barbara che, ogni anno, porta alla morte di centinaia di globicefali e altre specie di delfini.
In cosa consiste il Grindadrap?
Gli animali vengono crudelmente accerchiati dalle imbarcazioni e, sospinti da queste verso la costa, vengono radunati vicino alla riva per poi essere uccisi brutalmente con arpioni, coltelli e in alcuni casi anche trapani elettrici.
Il mare si tinge di rosso davanti agli occhi dei locali, adulti e bambini, e dei turisti curiosi di questa macabra e inaccettabile mattanza. Ogni anno secondo la BBC vengono sgozzati circa 600 tra lagenorinchi, globicefali (categoria sulla quale non si dispone di dati sufficienti sulla dimensione della popolazione), oltre a 35-40 delfini appartenenti ad altre specie.
Il triste primato prima di quest’anno era stato stabilito nel 1940, anno in cui furono uccisi circa 1200 esemplari. Nel 2021 invece è stato segnato un record senza precedenti: 1.458 animali, compresi cuccioli e femmine incinte, sono stati uccisi durante la caccia selvaggia di Skalabotnur a Eysturoy.
Un numero che ha provocato un forte shock anche nella popolazione locale, seppur abituata alla terribile tradizione. Nonostante questo, più dell’80% degli abitanti delle Isole Faroe, secondo un sondaggio effettuato dalla tv pubblica Kringvarp Foroya, continua ad essere favorevole alla Grindadrap, in quanto si tratta di una delle più grandi risorse economiche del XX secolo dell’arcipelago danese.
Lo stesso WWF è intervenuto per chiedere alla Danimarca di fermare la mattanza insieme a tutte le altre associazioni ambientaliste, esprimendo una fortissima indignazione.
Si tratta di un massacro anacronistico e senza alcuna giustificazione che non può più essere tollerato da parte del governo danese, oltre che dalle coscienze di ognuno di noi, in quanto rischia di causare danni irreversibili alle popolazioni di diversi cetacei.
Come nella maggior parte dei casi, la responsabilità è in gran parte dell’uomo: le risorse mondiali sono state saccheggiate per il beneficio di pochi e gli alti livelli decisionali sembra che non abbiano alcuna intenzione di porre rimedio a questa situazione.
L’Organizzazione Internazionale per la Conservazione Marina stima che dall’inizio del ventunesimo secolo 70 milioni di tonnellate di pesce siano state catturate e successivamente rigettate morte, e siano stati distrutti 110.000 ettari di praterie di posidonia, habitat di migliaia di organismi.
Per il 99% delle specie marine in pericolo di estinzione non esiste ancora un programma di conservazione.
I progressi tecnologici utilizzati per esaurire le risorse oceaniche massimizzano i guadagni a breve termine dell’industria della pesca, senza prendere in considerazione la sostenibilità della sussistenza di milioni di persone, né la conservazione degli ecosistemi oceanici. Non esiste alcuno stock di pesca al mondo gestito in modo responsabile. In determinati casi, come per alcuni squali del Mediterraneo, gli stock sono stati ridotti di un 99% rispetto alla loro popolazione originale del ventesimo secolo.
Cosa fare?
La prima azione concreta e obbligata che dovremmo mettere in pratica sicuramente è la protezione degli oceani stessi. Ad oggi, solo l’1% degli oceani è protetto (articolo di wall:out L’oro blu | I consigli di Zena Verde), percentuale quasi inesistente se si pensa che la superficie d’acqua che ricopre la Terra ammonta a circa il 70%.
Evitare di finanziare tutte le realtà che sostengono e finanziano in prima persona l’avvelenamento degli oceani è un’arma potentissima che abbiamo a disposizione, in quanto il cambiamento deve partire dalle possibilità di ogni singolo, senza aspettare che sia qualcun altro a fare la prima mossa.
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