Il deterioramento della situazione geopolitica ed umanitaria tra Israele e Palestina, consumatasi negli ultimi 12 mesi, ha avuto importanti ripercussioni sociopolitiche ben oltre i confini dell’area geografica direttamente coinvolta, alimentando una sempre più totalizzante polarizzazione della società europea rispetto agli sviluppi di questa lunga, angosciante occupazione.
Infatti, l’opposizione Palestina-Israele non è più relegata ai salotti televisivi dei diversi programmi politici o alla sezione “Politica estera” dei quotidiani, bensì essa si è lentamente fatta spazio tra quegli ambiti delle nostre vite quotidiane che ingenuamente riteniamo estranei a queste vicissitudini, rendendo momenti come una semplice partita di calcio, un potenziale pretesto di scontro.
Un rettangolo verde, 90 minuti, rabbia e violenza
È lecito domandarsi come lo sport più nazionalpopolare al mondo possa diventare la miccia per scontri violenti che esulano dal gioco in campo.
Tuttavia, la partita giocata ad Amsterdam giovedì 7 novembre non è stata un normale match tra Ajax e Maccabi Tel Aviv, bensì il culmine della polarizzazione in una città tradizionalmente sensibile al corso della storia, la quale quella sera non ha retto più il clima di tensione accentuato dalla partita e si è lasciata andare al più primordiale degli istinti, il sangue.
Secondo la precisa ricostruzione fatta da Euronews, i disordini risalirebbero già al giorno antecedente la partita, con azioni di disturbo dei tifosi del Maccabi, culminate con il rogo della bandiera palestinese nella centralissima Piazza Dam.
Durante il match, gli ultras israeliani si sono lasciati andare a cori deplorevoli contro Palestina e Gaza, oltre a rumoreggiare vistosamente durante il minuto di silenzio per le vittime dell’alluvione di Valencia.
Provocazioni continue, che hanno trovato una risposta violenta dopo il fischio finale per mano di gruppi organizzati, i quali hanno assalito i tifosi israeliani con bastoni e coltelli in varie zone della città.
Un clamoroso autogoal
All’indomani di quella lunga notte, che fortunatamente non ha seminato vittime, l’indignazione è il sentimento che prevarica più di tutti, scatenando una caccia al colpevole per quello che è stato definito come un vero e proprio pogrom nei confronti delle persone di religione ebraica, reclamando a gran voce un maggior impegno per contrastare l’aumento delle azioni violente di stampo antisemita, soprattutto da parte “dei mussulmani”, come affermato dal politico di estrema destra olandese Geert Wilders su X.
Queste accuse, tuttavia, nascondono volontariamente l’altro lato della medaglia, altrettanto sporco e colpevole di gesti violenti nei confronti di coloro che resistono da troppo tempo all’assurdità delle armi.
Quello che è successo ad Amsterdam è lo specchio di un approccio mediatico che inasprisce la polarizzazione verso l’una o l’altra parte, che volutamente distorce e ribalta la realtà, portandoci subdolamente a prendere infine le parti di una vittima con ancora la mano macchiata di sangue.
Un invito ad abbassare i cori
A mettere un freno importante alla strumentalizzazione che si stava consumando rispetto agli avvicendamenti di quella notte di novembre ci ha pensato la sindaca di Amsterdam, Femke Halsema.
“Ho visto come il termine pogrom sia diventato molto politico e sia stato usato per fini propagandistici”
Alle parole della sindaca Halsema si sono unite altre voci, provenienti anche da associazioni ebraiche, per reclamare un discorso politico e mediatico più orientato verso la presa di coscienza e la consapevolezza delle drammatiche condizioni che vivono coloro direttamente colpiti da questa illogica guerra, piuttosto che volto alla ricerca della polarizzazione delle comunità.
Meno aizzatore di scontro e più vettore di incontro.
Perché di una cosa sicuramente la questione palestinese-israeliana non ha bisogno: altra violenza.
Articolo di
Luca Chieti
Immagine di copertina:
Foto di Akmal Ayyash
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