Ad inizio settembre, poco prima della riapertura delle scuole, siamo stati al Mercato Orientale per fare un po’ di domande a chi al MOG ci lavora. Forse non è esistito luogo più vivido di un mercato nella storia dell’uomo. La civiltà moderna si è sviluppata intorno a forme di socialità e di organizzazione che avessero come fulcro lo scambio, la vendita e l’acquisto di beni. Non è quindi sorprendente che l’atmosfera di questi luoghi sia un tripudio di odori, di rumori, di colori; un banchetto di vita, sinonimo di incontri e di conversazioni.
Lo scorso autunno sono stato in Georgia per un progetto internazionale; l’ultimo giorno della mia permanenza mi sono ritrovato improvvisamente tra le bancarelle del mercato di Tbilisi, la capitale del paese euroasiatico.
E voi direte: ma che centra?
Centra, perché se è vero (per certi aspetti) il proverbio che “tutto il mondo è paese”, credo che sia ancora più veritiero affermare che i mercati popolari siano gocce dello stesso mare. Hanno tutti il gusto della gente, il brulichio asincrono del viavai di clienti e semplici passanti.
E allora come ha reagito questo microcosmo così denso alla più grande emergenza dei nostri tempi: la pandemia di covid-19? Quali sono state le conseguenze del mese tremendo di marzo 2020? Quali possono essere le previsioni per il prossimo periodo?
Sono alcuni degli interrogativi che abbiamo posto durante il nostro reportage.
Partiamo da un’osservazione, il MOG prima dello scorso inverno era in una fase di transizione. Con l’inaugurazione della struttura nelle sue nuove vesti – avvenuta il 7 maggio 2019 (a centovent’anni esatti dall’apertura vera e propria del mercato) si è cercato di illuminare l’intero ecosistema di luce viva.
Come ci spiega Cristina, che respira l’aria dei banchi merci dal 1986, la “Piazza del Gusto” posizionata nel cuore rialzato del MOG, ha avuto il merito di diversificare un po’ la clientela, attivando gli strati più giovani. Ed è proprio questa caratteristica, secondo lei, che è importante sottolineare: tra i consumatori abituali – generalmente di età avanzata – e i giovanissimi, c’è un vuoto generazionale che andrebbe colmato, se si vuole dare nuova linfa al Mercato Orientale.
“Chi va a pranzare in uno dei punti vendita interni, può essere che uscendo passi davanti alle merci che espongo e decida di prendere qualcosa. In questo senso ho notato delle differenze in positivo”.
Una fase di crescita e transizione, dunque, ma che rischia di essere frenata dalle vicende che sono in seguito emerse
Lo tsunami virale che dallo scorso gennaio si è propagato in tutto il mondo, facendo capolino in Italia a febbraio prima di esplodere in tutta la sua potenza, ha avuto degli evidenti effetti su tutto il sistema commerciale di metà via XX settembre. Ed è proprio riguardo questa precisa fase storica che ci interessava domandare ai commercianti, per sentire la loro.
Intanto, va detto che i crolli per quanto concerne le vendite sono stati verticali praticamente per chiunque nel periodo a cavallo tra febbraio e marzo, con cali superiori al 50%.
“Personalmente ho subito perdite del 75%” – ci dice Mauro, che possiede un ortofrutta in posizione centrale – “Soprattutto per quanto riguarda le vendite all’ingrosso. Invece devo registrare un aumento delle vendite al minuto, alle famiglie e ai consumatori abituali del Mercato”.
A suo parere non vi sono stati incrementi in termini di affluenza al MOG, tuttavia le stesse persone che prima acquistavano una determinata quantità di cibo, ora ne acquistano di più singolarmente. Una delle spiegazioni potrebbe essere ricercata nella diminuzione dei pasti fuori casa che i genovesi decidono di consumare, presso trattorie, ristoranti o luoghi di assembramento, oppure nello smart-working, che porta i lavoratori a prepararsi da mangiare nelle proprie cucine.
E proprio il lavoro da remoto, divenuto così in voga negli ultimi mesi contraddistinti dai distanziamenti sociali, è uno dei tasti più dolenti del Mercato Orientale.
Come praticamente tutti i commercianti con cui abbiamo parlato ci hanno spiegato, essendo la zona adibita quasi esclusivamente ad uffici e negozi, lo smart-working ha letteralmente intaccato i flussi in entrata. La mancanza di pause pranzo e di lavoratori che passano tra le bancarelle prima di rientrare a casa, ha senz’altro avuto conseguenze pesanti.
Queste ultime si sono anche riversate nell’organizzazione vera e propria delle attività. Loredana, che possiede un pastificio, ci spiega che a causa delle contingenze difficili si sono visti costretti a diminuire i dipendenti da quattro a uno soltanto. Inoltre, è stato essenziale introdurre o potenziare un servizio di food delivery, con consegne a casa per superare gli ostacoli dettati dal lockdown.
Nelle fasi più concitate dell’atipica primavera pandemica, i decreti ministeriali che hanno contingentato gli spostamenti hanno avuto un impatto importante sul MOG, poiché la mancanza di abitanti residenti nelle strette vicinanze ha assai ridimensionato il circolo commerciale. Va da sé infatti che la stragrande maggioranza delle persone nelle settimane più complicate abbia acquistato i prodotti nei supermercati più vicini a casa, quelli di quartiere. Paradossalmente, diversi punti vendita dell’hinterland genovese, meno quotati in condizioni normali, potrebbero aver tratto giovamento da questo particolarissimo intreccio di variabili.
C’è comunque chi guarda avanti con fiducia, come il macellaio Giacobbe, che si augura che con la riapertura delle scuole possa riattivarsi un minimo di ricircolo cittadino, facendo riavvicinare volti e voci che non si vedono da troppo tempo.
Il Mercato Orientale Genovese è senz’altro un luogo colmo di storia e di storie.
Il MOG ha visto camminare tanta gente al suo interno, ha visto passare l’epidemia di febbre spagnola tra il 1918 e il 1920, ha visto crescere la città intorno a sé, ha visto sfilare i partigiani di fronte al suo ingresso nell’Aprile del ’45, ha assaporato il periodo del boom economico e si è tirato su le maniche di fronte alle varie crisi finanziarie.
Il Mercato Orientale c’è stato, c’è e ci sarà
Nella nostra mattinata di sopralluogo abbiamo percepito un atteggiamento generale determinato, un approccio concreto e combattivo di fronte alle avversità, tipico dei nostri abitanti.
Due appelli:
Gente, premiate questo luogo di commercio alla vecchia maniera, senza casse automatiche o nastri trasportatori su cui poggiare i vostri prodotti. I mercati vivono se la popolazione li vive, respirate l’odore di curcuma che si mischia con quello del pesce mediterraneo, le note avvolgenti della cannella unite all’aroma dei reparti formaggi. Uscirete da lì che avrete goduto di un’esperienza sensoriale capace di risvegliare il vostro olfatto.
Giovani under 30, fatevi una vasca qui dentro ogni tanto, anche solo per guardare. Il Mercato Orientale deve tornare a sprizzare vita, a vedere le coppiette di ragazzi che camminano tra le bancarelle mano nella mano, ad accogliere qualcuno che tra un sacchetto di H&M in una mano e uno di Zara nell’altra, trovi anche il tempo nel suo pomeriggio di shopping di abbandonarsi a una decina di minuti in questo mondo. Qui qualcosa di utile in ogni caso si trova sempre.
Del resto come ci è stato detto da un commerciante, con tono tra il serio e il faceto:
“tre cose certamente non si smetterà mai di vendere, una di queste è il cibo. Le altre due sono i medicinali e le casse da morto”
(leggi anche l’articolo di wall:out Mercato del Pesce, venduto! – Da anni si cercava di farne qualcosa. Il mercato che fu il più importante è ora in mano a una società romana. E il futuro preoccupa.)
Immagine di copertina:
Mercato Orientale Genova – MOG. Foto di Pietro B.
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