La storia delle epidemie è estremamente lunga e curiosa: dall’epica di Gilgamesh ai quattro cavalieri dell’Apocalisse, dalla peste di Atene a quella del Manzoni. Oggi più che mai, sappiamo che di questa storia fa parte anche la nostra storia.
Possiamo ritenere le vicende epidemiologiche mondiali caratterizzate da due grandi discontinuità: la prima, che si situa a cavallo tra XVIII e XIX secolo, è costituita dall’origine delle politiche razionali di sanità pubblica; la seconda, verso la fine del XX secolo, è caratterizzata dall’affiorare di nuove malattie infettive che rimettono in questione l’ottimismo raggiunto nei secoli precedenti.
Conosciamo bene le disastrose conseguenze delle epidemie sull’economia dei paesi, ma quanto può invece incidere l’interesse economico sulla situazione sanitaria?
“È scoppiata un’epidemia di quelle più maligne
con bubboni che appestano uomini, donne e bambini,
l’infezione è trasmessa da topi usciti dalle fogne
ma hanno visto abilissime mani lanciarli dai tombini,
son le solite mani nascoste e potenti,
che lavorano sotto, che sono sempre presenti.”
(Giorgio Gaber)
Per comprendere in che modo le autorità possano prevaricare gli interessi sanitari a quelli economici, vi racconto brevemente ciò che accadde tra le magistrature di Genova e Livorno durante la peste del 1652.
Premessa: Le burocrazie sanitarie sono efficienti solo se ci sono una corretta comunicazione e rapporti di fiducia tra loro (oggi come allora).
Il 14 Giugno 1652 la Magistratura della Sanità di Genova notifica all’Ufficio fiorentino e agli altri centri dell’Italia del nord che ha decretato opportuno il bando della città di Alghero e la sospensione dell’intera Sardegna.
Mi spiego, erano stati accertati casi di peste nella località portuale di Alghero, zona che aveva molti contatti economici con il Nord Italia. Genova aveva dunque deciso di bloccare i commerci della città e di sospendere in via precauzionale quelli dell’intera isola. Chiunque avesse violato il bando o la sospensione sarebbe stato soggetto alla pena capitale in quanto “bandito”.
Firenze fa lo stesso e invia la notifica ai propri domini. Quando a Livorno e a Pisa giunge la notizia, le città decidono di sospendere non solo la Sardegna, ma anche la Corsica. Per fattori geografici ed economici era naturale che le autorità portuali dovessero guardare con maggiore apprensione alle imbarcazioni provenienti dalla Corsica, ma dal momento che non erano stati accertati casi di peste sull’isola, i provvedimenti toscani risultavano prematuri e discutibili.
Certo, di discutibile c’era anche altro: la Corsica era dominio genovese. Il sospetto era che la Repubblica stesse omettendo informazioni allo scopo di salvaguardare le proprie attività commerciali.
Rimane il fatto che, prima di adottare qualsiasi tipo di misure nei confronti dei domini italiani, il protocollo era di avvertire le autorità interessate. Nulla del genere viene fatto. Anzi, Firenze divulga le proprie decisioni come “Ordini secreti” per il resto dell’Italia. “Ordini secreti”, tuttavia, che tali non possono rimanere, se si intende farli rispettare.
La notizia si diffonde attraverso le magistrature settentrionali e Firenze è costretta ad ammettere a Genova i provvedimenti attuati. Una bella mossa politica: i toscani pongono la Repubblica davanti al fatto compiuto.
La Magistratura genovese risponde con un atto di ritorsione e sospende Piombino, l’Elba e Pianosa. Inoltre, Firenze viene a conoscenza del fatto che imbarcazioni corse aggirano la sospensione passando da Genova, procurandosi falsi documenti e sbarcando così illegalmente nei porti toscani.
Livorno, con questa scusa, decide di sospendere Genova. Lo stesso fa la Repubblica nei confronti del porto toscano.
Le diverse comunicazioni giungono alle magistrature settentrionali che devono decidere da che parte schierarsi: chi sospende Genova, chi sospende Livorno. Insomma, la situazione ha raggiunto i limiti dell’insensatezza, ammettendo che si stia ancora parlando di provvedimenti sanitari.
Quali saranno le prossime mosse?
Livorno non può confessare direttamente i propri errori per una questione d’orgoglio, d’altra parte tentativi indiretti di pacificazione non trovano il favore della Repubblica genovese.
Il tutto si conclude, così, con una missione esplorativa inviata dal Granduca di Toscana per accertare le condizioni sanitarie di Genova e poter provvedere alla revoca della sospensione. Detto fatto: le autorità toscane controllano città, lazzaretto e ospedali e non trovando casi di peste, revocano la sospensione.
A seguito di pressioni diplomatiche, anche Genova si decide a riaprire i propri porti ai toscani. È il 23 Agosto 1652 e la situazione si è normalizzata: i commerci sono ripristinati e le finte emergenze sanitarie smentite.
Come racconta bene questo pezzo di storia, è chiaro quanto la questione sanitaria sia stata manipolata a scopi puramente politici ed economici. In questo caso, come abbiamo visto, i danni sono stati limitati.
Ma cosa accadrebbe quando, invece di essere ingrandito, il pericolo venisse sminuito?
Immagine di copertina:
Foto di Jeswin Thomas
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