Il mito della felicità è alla base della nostra cultura. L’ossessione di sentirci realizzati a tutti i costi ci spinge a trascurare le gioie quotidiane in favore di un’idea di felicità altisonante, che spesso confonde ciò che si trova dentro di noi con ciò che è fuori. Ma cosa vuol dire davvero realizzarsi? In filosofia è possibile utilizzare il termine fioritura umana, il quale si riferisce a una condizione per cui l’essere umano non solo vive, ma si realizza, facendo riferimento a un’idea di felicità costante, che permane la vita dell’uomo e sottende alle sue emozioni.
Origini
Il concetto di fioritura umana ha radici antiche, a partire dalla sua concezione greca-aristotelica, per la quale la vita non viene giudicata sulla base di ciò che è bene per noi individualmente, ma rispetto a ciò che è bene per noi in quanto esseri umani. La dimensione morale si intreccia con l’idea stessa di felicità, intersecandosi l’una con l’altra.
Una vita “buona” è, per Aristotele, una vita virtuosa, in cui la virtù va intesa come una disposizione stabile, caratterizzata dal dominio della ragione, che guida l’individuo verso un’azione corretta per la durata di tutta la sua vita.
Una vita fiorente è quindi una vita buona in cui l’essere umano si realizza esercitando le sue dimensioni più proprie.
È difficile applicare il concetto greco, così come lo abbiamo presentato, alla società di oggi, in cui il bene e la morale hanno confini molto meno definiti. Anche da una cultura all’altra norme e pratiche sociali acquistano valori diversi e connotati differenti.
In un’ottica antropologica, viene da chiedersi se si possa parlare di una comune natura umana e se questa sottintenda una sorta di ricetta per la vita buona e quindi per la felicità.
Come rapportare questo concetto alla nostra quotidianità? È possibile stabilire dei parametri per definire una vita fiorente?
La domanda intorno all’universalità delle questioni morali è problematica e non approda a una risposta univoca, dividendosi tra chi sostiene che esistono intuizioni morali di base e chi invece opta per un maggiore relativismo.
La teoria prende strade differenti, ma nella pratica il bisogno di realizzazione diventa pressante e, quando cambiano le regole sociali, gli esseri umani cercano di rispondere in modo differente, spesso con conseguente frustrazione.
È forse impossibile trovare una risposta valida per tutti gli individui a queste domande, per lo meno lo è su un piano personale che viene percepito sempre di più come individuale, mancando in parte di una dimensione vera di condivisione.
Tuttavia, su un piano politico la questione potrebbe risultare meno complessa di quello che sembra.
In tempi recenti, il concetto di fioritura umana è stato legato ai concetti di istituzione e diritto, traslando il piano di indagine verso il cittadino, piuttosto che in riferimento all’essere umano in generale e alla sua razionalità.
Permettendoci quindi, considerando l’essere umano solo per alcuni dei suoi aspetti, di porre dei criteri necessari alla sua realizzazione in quanto cives.
Per il filosofo John Rawls l’obiettivo di una società giusta è quello di garantire a chi ne fa parte una vita fiorente, che egli identifica con la possibilità di attuare un proprio piano di vita ragionevole, partendo da eguali libertà e opportunità. Pone, quindi, alla base della sua teoria la capacità umana di scegliere il proprio destino sulla base delle opzioni razionali a disposizione.
L’essere umano si adatta alle scelte che trova dinnanzi a sé e su di esse costruisce se stesso.
L’adattabilità è un requisito necessario alla sopravvivenza. Ma quanto è lecito adattarsi e quanto invece il contesto dovrebbe piegarsi alle nostre personali esigenze? Essere liberi di scegliere è davvero sufficiente per garantire la nostra fioritura umana?
È evidente come le situazioni di partenza degli individui influiscano sui loro piani di vita, spesso alterandone la percezione attraverso una preferenza adattiva.
Considerare la felicità in termini di fioritura umana universale, invece che come una condizione personale, potrebbe aiutare non solo a sollevarci da quell’ansia di prestazione tanto comune tra i giovani, ma anche a garantirci le condizioni base di accesso alla felicità in quanto comunità.
Considerarci cittadini e domandarci se come tali abbiamo effettivamente accesso a valide opportunità di fioritura potrebbe essere il primo passo verso una tanto agognata realizzazione.
Immagine di copertina:
Foto di Margherita B.
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