Sera. Esterno. Una manciata di scogli a ridosso di una fermata del treno, dove il treno non ferma mai. Tramonto. Carne e verdure sbruciacchiano su una griglia appoggiata a quattro sassi. Il luogo è un luogo bellissimo: bisogna proprio immaginare il mare piatto, la luce del tramonto, una teoria di microscopiche insenature che scavano la costa e una gentile calura estiva appoggiata su tutto.
Ci sono tre diversi gruppi di giovani ragazzi e ragazze. Ciascun gruppo ha la sua griglia, una manciata di birre, qualche bicchiere di vino e, naturalmente, la sua musica. Tre piccoli mondi autonomi, a distanza di qualche metro, consumano quel frammento di estate genovese. Le birre e il vino sono quasi gli stessi per tutti i gruppi, la musica tradisce, invece, grandi differenze.
Il primo gruppo, raccolto su uno scoglio a un niente dal mare, segue gli accordi di una chitarra che colleziona testi sacri di grandi cantautori; il secondo gruppo, appostato su un terrazzo in cemento qualche metro più in alto, è raccolto intorno a una musica con accurati arrangiamenti progressive e post-rock. Il terzo, formato da una buona rappresentanza della redazione di Wall:out, all’altro capo dello stesso terrazzo, si muove (balla?) con moderato disordine, sulle note di una playlist inventata sul momento, che vira e mira, con prepotenza, verso un’estetica che non è solo trash, non più kitsch, non ancora camp.
(in fondo all’articolo e qui trovate la playlist di quella serata wall:out)
È un genere estetico che tiene insieme T’appartengo di Ambra, Barbie Girl degli Acqua, recentissimi pezzi reggaeton, Giuni Russo e Nada, naturalmente Britney Spears e poi Anna e il suo Bando, i Coma Cose e Raffaella Carrà, Miss Keta e Notorius BIG. Ed esclude, contemporaneamente, molte altre cose.
Ma più che quello che esclude, è la sua capacità di tenere insieme, di raccogliere e accogliere, che questa storia vuole raccontare
E infatti, a poco a poco, alcuni componenti del gruppo dei Cantautori e dei Post-Rock cominciano a passare in mezzo al nostro gruppo, sentono la musica e alcuni si mischiano con discrezione e accennano qualche movimento incerto.
Chiaro, a tutta prima, si producono in qualche smorfia indispettita o semplicemente compassionevole: eppure, a mano a mano che la serata procede, quegli attraversamenti si fanno più frequenti, quasi continui; le smorfie trasfigurano sempre più in sorrisi e i primi movimenti incerti diventano accenni di pogo sulle note dei Clash (Should I Stay or Should I go?) o accenni di twerk su quelle di Beyonce (Crazy in love!).
Non sfiora nessuno, tra i Cantautori e i Post-Rock, l’idea che quella musica sia lontanamente degna di essere paragonata alla loro: ma non è più quello il punto, quando ormai, alla fine della serata, tutti e tre i gruppi si raccolgono definitivamente insieme per mangiare una fetta di cheesecake (senza glutine). Ormai, quel genere estetico evocato da quella colonna sonora di Wall:out ha prodotto il suo risultato, terminato il suo compito. La collaborazione tra chi fieramente rimarrà comunque fedele a quel che più risuona per sé è ormai sigillata: I want it that way, cantavano non per nulla i Backstreet Boys.
Notte. Esterno. Una manciata di scogli a ridosso di una fermata del treno, dove il treno non ferma mai
Buio tutt’intorno. Silenzio. Non è rimasto più niente, in quella scogliera, del passaggio di quei tre gruppi. Non una forchetta di plastica senza punte, non una bottiglietta di birra, niente. Tutti e tre i gruppi, non importa a che arrangiamento musicale/estetico fossero legati, hanno lasciato intonsa quella spettacolare scenografia.
Ciascuno, dopo quel breve incrocio, è poi tornato ai propri arrangiamenti quotidiani. Ciascuno, con un ricordo di quel breve momento di incrocio che, senza la forza di questo genere estetico che programmaticamente tiene insieme mondi che non sono fatti per stare insieme, altrimenti non sarebbe stato possibile.
Allora, eccola qui l’estate che ci meritiamo: un posto pazzescamente bello di questa Genova che non possiamo fare a meno di sentire profondamente nostra; una playlist costruita mentre si vive quel posto come colonna sonora di un genere estetico ancora da nominare; la convinzione feroce che questo spazio così prezioso, come molti altri, meriti la cura maniacale necessaria a lasciarlo, ogni volta, come lo si è trovato.
Ecco: tutto questo è il modo migliore in cui possiamo raccontarvi, ad oggi, la storia di cos’è Wall:out Magazine.
Stay hard, stay hungry, stay alive, if you can.
(No, non è Steve Jobs)
wall:out – L’estate che ci meritiamo
Immagine di copertina:
Greyerbaby
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