Città invisibili

È sempre una buona idea leggere “Le città invisibili” di Calvino, ma oggi lo è di più

Gli abitanti non scendono mai sulla terra: la odiano? La rispettano al punto da non volerci entrare in contatto? O la amano per come era prima di loro?
6 Aprile 2020
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“Qui resta la mezza Sofronia dei tirassegni e delle giostre, con il grido sospeso dalla navicella dell’ottovolante a capofitto, e comincia a contare quanti mesi, quanti giorni dovrà aspettare prima che ritorni la carovana e la vita intera ricominci”. Genova o una qualsiasi altra città durante l’emergenza Coronavirus? No, una delle città invisibili di Italo Calvino. Chiusa in casa oltre il sopportabile, sottomessa alla dittatura del COVID-19, ho riletto questo gioiello letterario per l’ennesima volta e mi è parso di una sempre crescente e potente contemporaneità.

Le città invisibili (Einaudi, 1972) è uno di quei libri che non stanno in nessun tempo e stanno in tutti i tempi. Fatevi un prezioso regalo, lettori e lettrici, e prendetelo in mano; vi accorgerete che è perfettamente presente, nel presente. Forse, limitarsi a guardare dalla finestra la primavera che riscalda il cielo farà un po’ meno male.

La città di Sofronia si compone di due mezze città: quella di pietra, marmo e cemento è la città con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio e la scuola ed è provvisoria; l’altra, con il circo, le giostre e i motociclisti a testa in giù, è fissa. 

La prima rappresenta la nostra quotidianità, fatta di impegni, ambizioni, obiettivi, burocrazia, doveri: è la città delle istituzioni e degli uffici, apparentemente è l’ossatura del nostro vivere, eppure muta, cambia, si sposta, viene smontata e rimontata altrove. 

La seconda, invece, deve permanere, come il nostro sguardo bambino sulle cose; rappresenta il divertimento, il gioco, la profonda leggerezza del vivere. Futilità? No, affatto. Prigionieri della nostra routine regolata, dimentichiamo talvolta quel vivere un po’ giocoso. Servono entrambe le parti, perché la vita sia intera, e serve equilibrio tra loro. Quell’equilibrio che in questi ultimi mesi abbiamo forse rivalutato o riscoperto vitale. Mentre il mondo del lavoro e dei sogni è capace di muoversi, adattarsi, reinventarsi…quanto abbiamo avvertito l’importanza dell’ottovolante? 

In un’altra città, Cloe, le persone non si conoscono mai veramente tra loro, si incontrano e si incrociano per strada ma non si presentano, lasciano tutto all’immaginazione e allo scambio di sguardi furtivi. Una città di fantasie, insomma, in cui non si comunica se non fantasticando. Un po’ quello che mi è capitato di vivere nelle ultime settimane, camminando rapida per i vicoli deserti e silenziosi o facendo la coda per la spesa; schiacciata tra diffidenza e curiosità, magari col volto semicelato dalla mascherina protettiva, con guanti che spegnevano il tatto, sorpresa di scoprirci e osservarci fragilmente umani e un poco ridicoli. Cloe pare essere la più casta delle città e invece una “vibrazione lussuriosa” la muove continuamente. Il contatto è escluso, il pensiero sottomette ogni azione e se l’azione si compisse, beh, “la giostra delle fantasie si fermerebbe”.

E poi c’è Bauci, una città sui trampoli. Gli abitanti non scendono mai sulla terra: la odiano? la rispettano al punto da non volerci entrare in contatto? o la amano per come era prima di loro “e con cannocchiali e telescopi puntati in giù” la passano in rassegna “foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza”? Ho pensato alle città svuotate della nostra ingombrante presenza, alla natura che timidamente si faceva largo, riprendeva il suo posto, rivendicava i suoi spazi.

Teodora, infine, dove le persone hanno eliminato tutte le altre specie animali donandole “l’esclusiva immagine di città umana”. Dopo aver sconfitto anche i topi, gli ultimi temerari nemici, l’umanità ha stabilito un suo ordine che è convinta nulla possa più minacciare. La fauna e la flora di un tempo sono oramai ricordate solo sugli scaffali della biblioteca. Proprio quando la conquista appare definitiva, dai sotterranei riemergono però “le sfingi, i grifi, le chimere, i draghi, gli ircocervi, le arpie, le idre, i liocorni, i basilischi”, creature dimenticate decise a reclamare il loro diritto a restare. Che non sia questo l’invisibile destino che ci viene incontro? Scoprire che non possediamo un bel niente.

Immagine di copertina:
Le Città invisibili, Amina A.


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Storica dell’arte specializzata in storia dell’arte contemporanea e curatrice indipendente, scrive per la rivista d’arte “Juliet”, lavora nel settore comunicazione della Coop. Il Ce.Sto e dei Giardini Luzzati-Spazio Comune, è social media manager di diversi progetti in corso, lavora nella redazione del network di comunità “Goodmorning Genova”. Co-fondatrice di Progetto A (associazione che ha realizzato progetti di curatela e promozione artistica). Sempre attenta all’attualità, con una forte vocazione per il sociale, attivista delle cause perse, mente aperta e curiosa, appassionata di cinema e accanita lettrice. Femminista. Viaggia spesso, vive di arti, di relazioni sociali, di incontri. Scrive, scrive, scrive -sempre, ovunque, specie di notte.

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