Della violenza di genere, quando a Novembre se ne parla. Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Della violenza di genere, quando a Novembre se ne parla

In occasione della giornata per l’eliminazione della violenza di genere, riflessioni sparse per capire e attivarci collettivamente.
28 Novembre 2025
di
3 min
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La violenza contro le donne non si limita al femminicidio. E non si limita alla violenza sessuale, che però è spesso parte di un processo in cui il sesso, e la sessualizzazione delle donne, non hanno a che fare con il desiderio, ma con l’esercizio di potere.

Le donne vengono quotidianamente oggettificate, sessualizzate, aggredite, uccise, non perché desiderate o amate, ma per esercitare su di loro oppressione e controllo. 

Per poter cogliere meglio il sistema di violenza quotidiano che avviene sulle loro vite è utile considerare la piramide della violenza, che consente di comprendere quanto il processo sia infinitamente più ampio, sistemico e sfumato, e pertanto meno immediato da individuare, di quanto non venga molte volte descritto, specie in occasione del 25 Novembre, da parte dei media e delle istituzioni.

Della violenza di genere, quando a Novembre se ne parla. Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Rielaborazione di Martina Pestarino da “Maledetta sfortuna” di Carlotta Vagnoli.

La violenza maschile contro le donne fa a sua volta parte di un processo discriminatorio più generale, la discriminazione di genere.

Le persone che ne subiscono gli effetti sono individuate tramite un processo di esclusione, di non appartenenza alla categoria dei maschi etero cis: donne, persone queer, persone non binarie, persone LGBTQIA+.

Ne subiscono poi conseguenze più importanti persone razzializzate e marginalizzate da un punto di vista socio-economico, persone con corpi non conformi, sex workers.

Per loro la violenza viene esercitata sia come violenza di genere sia come violenza sistemica, in maniera tale da rendere spesso invisibile la loro marginalizzazione e la loro lotta, come possiamo notare dal fatto che, nell’inarrestabile narrazione mediatica dei femminicidi in Italia, a essere riportati sono troppo spesso solo casi di giovani donne bianche ed eterosessuali.

Ad agire la violenza, d’altro canto, non sono solo persone maschi etero cis, ma, in modi e misure differenti, tuttɜ noi.

Tuttɜ noi infatti contribuiamo a rinforzare stereotipi, pregiudizi, azioni violente lungo l’asse di una discriminazione di genere che ci coinvolge singolarmente e collettivamente. 

Anche se non riportato nella piramide della violenza, l’esempio più chiaro del nostro contributo sono il silenzio e la connivenza, spesso, purtroppo non solo, legati ai livelli più bassi dei gradini della piramide.

Le persone che subiscono violenza sono, necessariamente, più pronte a vederla e a contrastarla, ma sono anche coloro che la esercitano più raramente, e, ironicamente, sono quelle chiamate, tramite le note campagne pubbliche di sensibilizzazione, a riconoscerla, denunciarla ed ‘evitarla’.

Queste persone però non sono il problema. E non sono vittime passive da difendere o ricordare. 

Cambiamento

Il vero cambiamento deve avvenire da parte di chi questa violenza la agisce e la tollera dall’alto del proprio privilegio.

È sicuramente un sistema complesso, che richiede cura, attenzione e supporto verso chi subisce violenza e al contempo resistenza, educazione e (ri)formazione nei confronti di chi la agisce.

È importante evitare etichette facili e immediate, eccezionalizzare i femminicidi come agiti da mostri: sono persone perfettamente inserite e nutrite da una comunità in cui i livelli più bassi di violenza, più ampi e permeanti ma anche invisibilizzati e tollerati, hanno loro concesso di scalare fino alla cima della piramide.

E per questo la comunità è corresponsabile. Noi abbiamo concesso che ciò accadesse.

Prendere coscienza della nostra responsabilità, individuale e collettiva, è il primo grande e faticoso passo da compiere. Evitare di esonerarsi, di sentirci estranei, di guardare altrove. 

Coloro che, in un sistema attuale sessista e discriminatorio occupano posizioni privilegiate rispetto all’asse del genere devono necessariamente farsi carico di mettere in discussione la propria visione delle cose, le attitudini e le azioni che possono avere un impatto verso le altre individualità: relazioni umane, sessualità, ma anche attitudini al consumo e alla fruizione culturale.

Riconoscere e contrastare il proprio paternalismo, connivenza, benaltrismo, sessismo benevolo. 

Le persone che subiscono violenza di genere non hanno bisogno di protezione, di tutele, in un sistema che non le sottopone a questo rischio. Nell’immediato, da parte della comunità, hanno bisogno di alleatə. Che quello che vivono quotidianamente venga visto e riconosciuto, nominato e decostruito, specie nelle cerchie dove la loro voce non può arrivare.

Nella chat del calcetto, al bar, in ufficio, nelle scuole, la violenza deve essere contrastata per prossimità, partendo esattamente da quei gradini della piramide dove stiamo comodamente sedutə mentre, indignatə, leggiamo dell’ultima notizia di femminicidio.

Parliamone tra noi. Condividiamo il processo, decostruiamoci. 

Guardiamo dove non lo facciamo mai, mettiamoci in discussione dal profondo e con umiltà, chiedendo aiuto, supporto e indirizzo a coloro che subiscono violenza: in questo modo abbiamo l’enorme opportunità di ribaltare lo stereotipo (sessista anch’esso) della vittima passiva, di dare voce al vissuto quotidiano di queste persone, per prime potenti agenti di cambiamento e rivoluzione. 

Impareremmo molto, anche che il processo è faticoso e doloroso, di certo non immediato, ma sicuramente necessario.

Immagine di copertina:
Foto di Sacha Verheij


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Eva O.

Nasce, cresce e studia Economia a Genova, scoprendo in tempi ormai sospetti il femminismo e l’attivismo nel movimento NonUnaDiMeno. Nel Gennaio 2024 prende sei meravigliosi mesi sabbatici viaggiando in solitaria in Sud America, al termine dei quali si licenzia, e inizia una nuova avventura con un corso di laurea in Genere, Politica e Relazioni Internazionali all’University College of Dublin.

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