Immaginate scenografie post-apocalittiche in tinta grigia, immaginate città semi-deserte. Un contesto a metà tra Chernobyl, 1984 e Fallout (i nerd capiranno), dove però non c’è solo desolazione: immaginate che da tutto quel grigio emerga senza freni una brillante vegetazione infestante, il verde che risorge come la fenice. Private Garden di Giacomo Costa, Guidi&Schoen
La potenza della vostra immagine mentale non può superare quella delle immagini stampate sui lightbox di Giacomo Costa. Perché qui leggiamo la forza della fotografia, che documenta “quel che è reale” per definizione.
Siamo da Guidi&Schoen, di fronte all’installazione Private Garden. Undici pannelli retroilluminati appoggiati alla parete documentano città che non abbiamo ancora visitato, ma di cui abbiamo sentito profezie e forse abbiamo davvero già immaginato.
Sempre attuale l’opera dell’artista, che ha esposto l’installazione alla 53. Biennale Arte di Venezia nel 2009, prima di ricostruirla qui per il voyeurista pubblico genovese.
L’installazione luminosa che vediamo da Guidi&Schoen non ci suggerisce vie d’uscita e neppure ci immerge totalmente in mondi alieni: sembra che voglia semplicemente mostrarci qualcosa che esiste, e nel suo esistere non è in alcun modo messa in dubbio.
È come una prova, un documento. Restiamo a osservare e notiamo la precisione dei dettagli, l’altissima definizione di un lavoro in computer grafica che a stento riusciamo a pensare realizzato nel 2009. Scopriamo dall’autore che è il risultato di minuziose capacità tecniche nell’utilizzo di alcuni software di grafica 3D usati per la realizzazione degli effetti speciali nei film.
“Sebbene la pittura mi affascini molto e mi senta un pittore mancato, io mi definisco un fotografo”, ci racconta Costa spiegando che i lavori che vediamo nascono inizialmente da collage di fotografie differenti tra loro, su cui aggiunge o cancella elementi in corso d’opera. Quel che ne risulta è una scenografia che a uno sguardo approfondito suggerisce situazioni da videogame.
Abbiamo osservato le immagini e discusso con lui, prima che ripartisse alla volta della laguna per un’altra Biennale – Architettura questa volta –, che inaugura oggi ufficialmente con non pochi sforzi. How will we live together? è la domanda che pone la 17. Mostra Internazionale di Architettura curata dall’architetto, docente e ricercatore Hashim Sarkis, e interrogandoci sulla questione ci figuriamo come il lavoro di Costa calzi a pennello.
Comunità Resilienti è il nome del Padiglione Italia, a cura di Alessandro Melis, in cui il lavoro di Costa si inserisce nel filone dell’interazione tra architettura ed elementi provenienti dalle arti visive come il cinema, il fumetto, la graphic novel, i videogiochi (soprattutto a proposito di quest’ultimo, supponiamo).
Dunque partono i processi mentali, e arrivano alcune domande legate a quella caratteristica che rende Private Garden un’opera documentativa:
Possiamo documentare l’invisibile? O possiamo solo suggerirlo, o raccontarlo? Poi l’invisibile, è davvero invisibile?
D’obbligo, adesso, andiamo a rileggere Le città invisibili (articolo di wall:out È sempre una buona idea leggere “Le città invisibili” di Calvino, ma oggi lo è di più).
Immagine di copertina:
Private Garden, Giacomo Costa. Courtesy la galleria Guidi&Schoen
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