Il ronzio insistente di un grosso moscone mi distoglie dal sonno. Apro gli occhi nella mia stanza, non lo vedo ma il rumore ne segnala la presenza.
Cambio posizione nel letto e riacquisisco lucidità, mi alzo, raggiungo la grossa finestra alla genovese della mia camera all’ultimo piano di un palazzo in centro storico, mi sporgo dalla ringhiera in ferro e legno ed eccolo lì, il mio moscone: un grigio, massiccio, imponente elicottero militare, immobile sopra i tetti disordinati e fioriti del centro, fermo sopra la vita brulicante delle case al mattino, fisso sopra i voli bassi delle rondini all’alba come un saluto ai cittadini.
L’irritazione mi assale immediatamente, saltello a piedi scalzi sul parquet tastando alla ricerca degli occhiali, per vedere meglio.
Rimane lassù, così basso sui palazzi che vedo distintamente i militari seduti a porta aperta; un secondo moscone militare, invece, compie ampi cerchi su Genova ancora sonnecchiante.
Il primo fastidio dovuto al ronzio trapanante viene rapidamente scavalcato dall’indignazione politica (Ma davvero abbiamo bisogno di tutto questo dispiegamento sfacciatamente nazionalista per un vascello che ha girato il mondo a celebrare il prodotto italiano – ma detto in modo più accattivante, il Made in Italy?), poi da quella ambientalista (Quanta CO2 regalata all’aria? E quanta ecoansia dei giovani servirà per compensarla?), infine da un pensiero folgorante, che mi rimane appiccicato addosso.
Il pensiero che, nemmeno per un secondo, ho avuto paura di quell’elicottero militare. Nemmeno per un secondo l’ho riconnesso alla guerra, alle bombe sganciate, alla distruzione delle persone e delle case.
Ho provato a immaginarmi allora, tra i molti conflitti, quello di Gaza, rasa al suolo dalla furia dell’umanità cieca e indifferente.
Ho ricordato i racconti di chi sentiva “U Pippettu” sorvolare la città durante la Seconda Guerra Mondiale, preannunciando distruzione imminente.
Ho provato a immaginarmi che quell’elicottero improvvisamente aprisse la propria pancia e lasciasse cadere grosse bombe nere sulla nostra città, sui ruvidi tetti di ardesia, sulle altanine aggrappate al cielo, sulle cupole di San Siro, della Maddalena, delle Vigne.
Toccherà a me? Mi colpirà? Riuscirà a raggiungerci il rinculo dell’esplosione? Le macerie impazzite ovunque?
Ho capito il privilegio straordinario di non conoscere la guerra.
Il privilegio del tutto casuale di essere qui e non lì, ora e non allora.
Il privilegio di potermi innervosire per il rumore di un elicottero che turba il mio sonno. E il dovere di esserne consapevoli e grati, anche in un mattino qualsiasi di giugno.
Immagine di copertina:
Foto di Maddalena C.
Scrivi all’Autorə
Vuoi contattare l’Autorə per parlare dell’articolo?
Clicca sul pulsante qui a destra.