La grandezza di Fabrizio De André è misurabile dall’immensità del valore dei suoi testi e dalla capacità di saper raccontare storie, storie comuni a tutti noi. Il Cantico dei drogati (che avrebbe dovuto intitolarsi invece Cantico dei folletti di vetro) è un capolavoro dalla notevole potenza espressiva scritto dal compositore genovese Riccardo Mennerini, poeta italiano poco conosciuto reso praticamente cieco da un incidente sul lavoro.
Forse non tutti sono a conoscenza della dipendenza da alcool che affliggeva Fabrizio, che dall’età di diciott’anni era solito bere due bottiglie di whisky al giorno. Dipendenza che portò suo padre Giuseppe a chiedergli, sul letto di morte, un’unica promessa: smettere di bere.
“Ma porca di una vacca maiala, proprio questo mi devi chiedere?” esclamò il cantautore, che però effettivamente troncò di netto il proprio rapporto con l’alcool.
“Scrivere il Cantico dei drogati, per me che avevo una tale dipendenza dall’alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico” dichiarò l’artista, pur riconoscendo agli alcolici la capacità di “far viaggiare la fantasia” ed averlo aiutato nella composizione di diversi brani.
I personaggi della canzone sono i drogati visti dall’interno, estraniati dalla realtà senza la speranza di un futuro migliore, che recriminano sul mondo lanciando una provocazione a chi pensa di sapere.
Lo stesso Fabrizio dichiarò che la canzone gli permetteva di liberarsi dell’imbarazzo di esser considerato un alcolizzato. Il “Cantico”, caratterizzato da un testo crudo e da un’atmosfera malinconica, si conclude con una richiesta di aiuto all’ascoltatore da parte del “drogato”, che si scopre, ancora una volta e nonostante tutto, fiducioso nei propri simili.
È difficile racchiudere in poche parole l’immensità di questo brano, che andrebbe ascoltato, ameno una volta, da chiunque.
Immagine di copertina:
Album Tutti morimmo a stento, Bluebell Records
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