PIAZZA MANIN (movimento no global)
Genova mia madre,
contorta su te stessa hai riparato il grembo, i seni, il viso luminoso di una rabbia che piange. I tuoi figli.
Nelle tue piazze siamo caduti pesanti e amari come questi ippocastani. Mentre bruciava il simbolo di un potere antico e barbaro, noi volevamo cancellare tutte le sbarre, tutti i varchi, tutti i noi-loro. Volevamo rivendicare di essere sei miliardi di impotenti pronti a tagliare le teste degli otto re del mondo. Ma non si può ignorare che in questo mondo c’è il bene e c’è il male, che è violenza non volere padroni solo per chi è padrone di qualcuno e di qualcosa. La violenza è paura di morte.
Che il Gallo ci assolva per aver bastonato prima di essere giustiziati. Che il Gallo non c’era, perché anche un prete sarebbe stato picchiato, vestito di nero.
Genova mia madre, cosa ti stanno facendo? Rossa nel ventre, le vene scure di divise e caroselli, le arterie dissanguate. Vermiglio il tuo passato, il tuo presente, il futuro dei tuoi muri.
VIA TOLEMAIDE/CORSO TORINO (il rapporto di forza)
Genova mia mamma,
camionette impazzite caricano i tuoi figli armati di caschi e di magrezza. Stiamo provando a ribaltare i rapporti, riprenderci la forza di contrattare: sul lavoro, sull’ambiente, sulla ricchezza che produciamo.
Capitale può essere un luogo, un’arma o un peccato. Chi spreme fino alle bucce dei poveri diavoli è un assassino, non un capitalista. Mamma ci stanno inseguendo con i blindati, lanciati veloci come proiettili. E prima o poi qualcuno resterà colpito.
Deviazione può essere azione, conseguenza o fenomeno. Chi detiene l’uso della forza e mena con l’impugnatura dei manganelli è un criminale a volto coperto, non un servitore.
Abbiamo già iniziato a piangere e non abbiamo più fiato; per le corse, il caldo, i fumi che piovono dal cielo. Sono almeno due ore ma questa fuga che abortisce ad ogni svolta è un’intera stagione. È il temporale che segna la caduta dei frutti dai rami. È il tempo maturo per iniziare a morire.
PIAZZA ALIMONDA (muore la speranza viva è la paura)
Mamma, è stato un errore.
Un altro e poi un altro ancora. C’era un grande rumore che non si fermava da ore. Ci stavamo vendicando con le armi della strada. Poi ho alzato un estintore. Rosso come te, vuoto come me. Una zanzara mi ha preso sotto l’occhio sinistro e quel silenzio che avevo dentro è esploso qui fuori, tra i poligoni di questa piazza.
Fermo impietrito, scosso dalle urla disperate e dalle ruote che mi passavano sopra decise e regolari, ho mosso il mondo restando immobile. Già erano morti i corpi intermedi, ora serviva che morisse anche il corpo della fine del secolo.
Mamma mi dispiace. Mi dispiace non aver urlato mentre morivo a mani in aria. E quelle parole le recita sempre qualcun altro: eroe, martire, delinquente.
Un simbolo da far combaciare: come essere intolleranti al suono delle sirene mentre si attraversa questa strada; guardare le ringhiere della chiesa e ricordare che è stato l’unico luogo che ha ospitato un processo per la mia morte.
Immagine di copertina:
Murales di Corso Monte Grappa. Grafica wall:out magazine su fotografia di Daniele Modaffari
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