Yorgos Lanthimos approda nelle sale con l’eleganza disturbante di Bugonia

Yorgos Lanthimos approda nelle sale con l’eleganza disturbante di Bugonia

Quando la follia diventa eleganza. Bugonia, di Yorgos Lanthimos e la sua sorprendente musa Emma Stone. Da Venezia 82, ora nelle sale.
7 Novembre 2025
3 min
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Bugoniadi Yorgos Lanthimos, presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 82ma edizione, con questo suo ultimo film parrebbe chiudere idealmente una “trilogia dell’estraneità”.

Ma se anche si intravedono dei tratti comuni con “Povere Creature!” (2023) e “Kinds of Kindness” (2024) possiamo soltanto riferirli alla cifra stilistica del regista. Nessuna trilogia, insomma.
(Articolo di wall:out Povere Creature – A che cosa somiglia il mondo)

In “Bugonia” Emma Stone è Michelle Fuller, agguerrita CEO di un colosso farmaceutico, la quale viene rapita da due apicoltori (Jesse Plemons e Aidan Delbis) assurdamente convinti che sia lei la causa del declino del pianeta Terra e che questo porterà ad uccidere le loro api.

Nelle loro menti ‘un poco’ distorte Michelle/Emma non è umana, ma un’infiltrata di un’altra specie.

Da qui in poi tutto è plausibile. O meglio: tutto è Lanthimos.

L’idea di fondo è il complotto: Big Pharma, l’ecosistema, la Madre Terra in agonia. Ma Lanthimos tratta questi scottanti temi come se fosse una fiaba paranoica, un manuale di sopravvivenza per visionari.

Nessuno urla, nessuno piange: si sorride, a volte, ma di quel sorriso strano che viene quando non si sa se ridere o darsela a gambe.

La mente del contro complotto, interpretato da un sorprendente Jesse James, è colpito da frequenti scatti di collera educata: si infuria, poi si scusa. Come se la sua follia avesse buone maniere.

E intanto, l’inquietudine cresce lenta, come il ronzio delle sue api. La performance di Emma Stone è pura, grottesca, ironia incarnata.

Accetta tutto: le catene, la rasatura (effettuata realmente, in presa diretta e con un unico ciak), la follia altrui. I rapitori la spogliano dei lunghi capelli convinti di impedirle di avere possibili contatti con la sua astronave madre (!).

Ma Michelle riesce a essere regale anche senza i suoi fluenti capelli, come se la sua grazia non dipendesse più dal corpo, ma da un’ironia misteriosa che la tiene viva.

Perfetta e aliena anche quando è incatenata a una branda, dentro a una stravagante cantina di una villetta, mantiene la compostezza di una regina in ritiro spirituale.

Guarda i suoi carcerieri con la pazienza di chi ha già visto di peggio. 

“Bugonia” non spiega nulla, non redime nessuno.

Lascia sospesi in quel suo equilibrio tra delirio e lucidità, dove tutto sembra vero ma niente lo è del tutto.

È una favola ecologista e dai tratti che paiono un po’ idioti, come solo Lanthimos sa coniare: logica e assurda, tenera e crudele, con il ritmo di un incubo raccontato da qualcuno che ride sottovoce.

Siamo nel mondo tipico di Lanthimos, dove la normalità si piega fino a diventare esperimento e l’orrore si traveste da quotidiano. I rapitori recitano il loro fanatismo con un’ingenuità quasi infantile, mentre lei, la presunta vittima, si muove con calma, lucidità, e una sorprendente eleganza.

Quegli occhi blu che bucano lo schermo come per dire: tranquillo, la follia è contagiosa solo se la prendi troppo sul serio.

È come se affrontasse il rapimento con la mente di una manager e il corpo di una sopravvissuta. Una donna che trasforma la vulnerabilità in un modo nuovo di esistere.

Lanthimos la filma con curiosità quasi scientifica, ma qualcosa di ironico attraversa tutto il film.

Così come accade nel finale che in pochi minuti sovverte la linea narrativa e invia a tutti noi un messaggio forte e chiaro. No spoiler.

Con “Bugonia”, Emma Stone conferma di essere l’interprete perfetta per l’universo di Lanthimos.

La sua evoluzione attoriale di identificazione con i suoi personaggi è stata geniale. 

Dalla luminosità romantica di “La La Land”, il film musical diretto da Damien Chazelle ed interpretato insieme a Ryan Gosling (che le ha portato il primo Oscar come miglior attrice protagonista nel 2017), alla incontenibile Bella Baxter di “Povere creature!” (regia di Lanthimos), la quale torna in vita con il cervello del suo bambino mai nato (seconda vittoria agli Oscar per l’attrice nel 2024). 

Emma Stone è arrivata qui, dove una donna si lascia svuotare e accetta di farsi deformare dallo sguardo del regista. Lei non interpreta, bensì abita il paradosso.

Bugonia non dà risposte, ma lascia un ronzio dentro, come il ricordo di qualcosa che non si riesce a nominare e di quelle api che aprono il film e che dominano il significato del titolo: un antico mito greco secondo cui dalle carcasse dei buoi nascevano sciami d’api.

Assurdo, elegante, lucido e crudele.

Immagine di copertina:
Locandina del film. Fonte Focus Features


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Beatrice I.

Danz-attrice con in parallelo una formazione in economia, ora agisce dietro le quinte. Nata a Genova, dove qualcosa la spinge sempre a ritornare, coltiva una smodata passione per la comunicazione e l'organizzazione teatrale e cinematografica. Collabora con diverse realtà locali e non. Onnivora di cinema (anche indipendente) teatro e danza contemporanei, deve assolutamente scriverne.

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