Scrivo queste parole alle 21:30, mentre Sergio Mattarella pronuncia il suo discorso dopo essere stato rieletto Presidente della Repubblica.
Dopo un anno di ripetuti rifiuti, rivolti a chi gli domandava di continuare, alla fine ha dovuto cedere e prendere, ancora una volta, il peso del Paese sulle spalle, alla veneranda età di 80 anni. L’ha fatto perché il suo enorme senso delle istituzioni, del dovere, non gli avrebbero permesso di lasciare l’Italia in difficoltà in un momento così drammatico.
Fermo restando il profondo rispetto, l’ammirazione e quasi l’affetto che nutro per il presidente Mattarella, io questa sera sono triste.
Sono triste perché la politica è la mia passione, e oggi ha dato una prova di sé tremenda. Sono triste perché, anche se sono felice del mio Presidente della Repubblica, non doveva andare così.
I partiti hanno, da qualche anno a questa parte, delegato qualsiasi decisione difficile. Le forze politiche, che sono chiamate al dovere fondamentale di eleggere un Capo dello Stato, non hanno saputo fare altro che non decidere. Questo è l’atteggiamento non solo di una classe dirigente politica, ma il fallimento di un’intera generazione, che non è mai del tutto riuscita a recidere il cordone ombelicale con quella precedente.
La storia dei cinquantenni incapaci, che chiamano ultrasettantenni a sistemare la situazione dopo aver creato scompiglio, è un triste paradigma che si ripete all’infinito, ad ogni livello.
Negli ultimi anni, Sergio Mattarella ha più volte dovuto scendere in campo direttamente, in soccorso della classe politica allo sbaraglio. Ha dovuto dare incarichi esplorativi a una decina di persone, per formare tre governi in quattro anni, due con maggioranze opposte e uno (di nuovo) che sancisce l’incapacità della politica.
E ora, ancora una volta, il “buon padre” Mattarella, probabilmente molto deluso, svolgerà per altri sette anni il suo compito, per supplire alla mancanza di responsabilità di un Parlamento fatto di gruppi spaccati e di comandanti che non comandano nessuno.
E allora questa sera io mi chiedo, con i miei 21 anni, possiamo noi giovani mettere la parola fine a questa situazione?
Dove ha fallito la generazione dei nostri genitori, noi dovremo essere meglio
Questa settimana ho seguito, secondo dopo secondo, le vicende delle elezioni presidenziali; almeno tre voti a scheda bianca, un voto con astensione del centro destra, uno con astensione del centro sinistra, la Presidente del Senato praticamente sfiduciata dai parlamentari del suo partito e della sua coalizione, quindi da qui completamente delegittimata, la carbonizzazione, perché bruciatura è poco, di nomi su nomi, tra politici, tecnici, donne, uomini, giudici costituzionali e capi dei servizi segreti.
Il tutto ci ha portati esattamente alla situazione che avremmo potuto vedere due settimane fa. Sergio Mattarella al Quirinale, Mario Draghi a Palazzo Chigi, Maria Elisabetta Alberti Casellati al Senato, Roberto Fico (non bruciato solo perché troppo giovane) alla Camera, Marta Cartabia Ministra della Giustizia e Casini, ancora e per sempre, finché morte non li separi, al suo posto in Senato.
Di fronte al fallimento ennesimo e totale di una generazione come classe dirigente, siamo chiamati noi giovani a farci carico, al più presto e in modo serio, della gestione della Cosa Pubblica.
Cerchiamo di arrivarci, indipendentemente dalla parte politica, preparati, competenti e pronti. Per di più, da genovese, con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative, questo tema mi tocca ancora di più.
In una città dove il rapporto tra over 65 e under 14 è decisamente sproporzionato (siamo una delle città più vecchie d’Italia), quanto riusciranno a incidere i giovani? Quanto spazio verrà loro concesso per poter davvero cambiare qualcosa?
Staremo a vedere, ma dopo questo spettacolo abbastanza ingeneroso in Parlamento, io spero ci sia un po’ di ricambio.
Tanti giovani sono pronti.
Sta a noi, adesso.
Immagine di copertina:
Foto Presidenza della Repubblica, Wikicommons
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