Se consideriamo le armate mondiali come un paese sarebbe al 4° posto per impronta carbonica. Il comparto militare emette il 5.5% delle emissioni di gas serra, senza contare gli incendi e i danni alle infrastrutture e alle emissioni dovute alla ricostruzione postbellica.
Preparazione al conflitto
Facciamo un passo indietro: la guerra ha un impatto significativo ancora prima di esplodere. L’estrazione e l’utilizzo di metalli comuni, terre rare, acqua, gas e petrolio, così come l’uso del suolo e le infrastrutture che ospitano gli eserciti, sono tutti fattori che contribuiscono a questo impatto.
Le armate vengono poi spostate verso i luoghi di conflitto con centinaia e migliaia di armi da assalto, alimentate per lo più dal petrolio, una fonte fossile a bassa efficienza e alto impatto ambientale, ma comoda da trasportare.
Un caccia F-35, ad esempio, consuma 400 litri di carburante per 100 chilometri ed emette 28.000 kg di CO2 per ogni missione di volo. Uno studio pubblicato su “Global Environmental Change” ha rilevato che le emissioni di CO2 prodotte durante la guerra in Iraq del 2003 hanno raggiunto circa 100 milioni di tonnellate.
Queste emissioni derivano principalmente dall’uso massiccio di veicoli militari, dalla combustione di combustibili fossili e dall’incendio di pozzi petroliferi, con conseguenze negative sulla qualità dell’aria e sul clima globale.
La guerra ha inizio
Gli esplosivi rilasciano gas a effetto serra, inquinanti organici e inorganici. Metalli come l’uranio impoverito si polverizzano e contaminano l’ambiente.
Le esplosioni raggiungono temperature elevatissime, bruciando e contaminando ogni forma biologica sopra e dentro il terreno, sterilizzando così il suolo. I metalli pesanti e gli inquinanti penetrano nelle falde acquifere, contaminandole per decenni.
Tra gli esempi più emblematici, troviamo la Bosnia Erzegovina, dove l’acqua potabile è ancora contaminata dall’uranio impoverito usato nei bombardamenti del 1994, e le enormi quantità di petrolio versate nel Golfo Persico durante la guerra del Golfo del 1991, che hanno causato un disastro ambientale senza precedenti con danni duraturi agli ecosistemi marini.
Durante la guerra in Ucraina del 2022, il bombardamento della diga di Kakhovka ha provocato il riversamento di 150 tonnellate di petrolio nel Mar Nero.
Prima del conflitto, la media dei delfini spiaggiati sul litorale protetto del Mar Nero era di tre all’anno; dopo un anno di conflitto, il numero è salito a 2.500, e dopo due anni, circa 50.000 cetacei sono morti. Il tutto è accompagnato da un altissimo numero di vittime, soprattutto civili.
Nel solo 2024, nei conflitti più caldi, abbiamo raggiunto un bilancio drammatico: a Gaza l’esercito israeliano ha ucciso circa 40.000 persone (di cui circa 15.000 tra donne e bambini); in Sudan, più di 23.000 morti; nella Repubblica del Congo ci sono più di un milione di sfollati e 30 anni di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale, hanno causato la morte di milioni di persone.
Postbellum
Gli effetti ambientali della guerra non si esauriscono con la fine dei combattimenti. Le munizioni inesplose, come le mine terrestri e altri residuati bellici, rappresentano una minaccia persistente per gli ecosistemi e per la sicurezza delle popolazioni locali.
E se sopravvivi alla guerra, cosa ti aspetta?
L’equipe guidata dalla professoressa genetista Paola Manduca, presidente dell’associazione New Weapons Research Group, ha dimostrato attraverso anni di lavoro che i residui delle armi usate da Israele causano difetti alla nascita a Gaza.
I metalli cancerogeni presenti nelle bombe e nei proiettili al fosforo bianco sono stati trovati nei tessuti delle ferite e nei capelli dei bambini un anno dopo l’operazione “Piombo Fuso” del 2008-2009.
Questi metalli non vengono eliminati dall’organismo, ma persistono nel corpo o nell’ambiente. Inoltre, esiste una correlazione tra l’esposizione agli attacchi e le malformazioni alla nascita, con effetti a lungo termine sulla salute riproduttiva.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà dei popoli.
Durante gli Accordi di Parigi del 2015 si è parlato di ridurre le emissioni del settore bellico, ma senza sancirne l’obbligo. I governi, quindi, non sono obbligati a ridurre le emissioni dovute al proprio settore militare.
Perché? Nel 2022, la spesa militare globale ha raggiunto 2.240 miliardi di euro. Nessuna crisi nel settore bellico, nessuna pandemia o crisi logistica ha intaccato l’industria degli armamenti.
In questo distopico panorama, l’Italia, che secondo l’articolo 11 della sua Costituzione “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, è il quarto paese al mondo per esportazione di armi.
Secondo il rapporto del vertice di Glasgow, i paesi più ricchi spendono in media 2,3 volte di più per la militarizzazione dei confini rispetto alle misure preventive per la mitigazione degli effetti del surriscaldamento globale.
Questa strategia politica mira a inquadrare la crisi climatica come un problema di sicurezza: un approccio militarizzato ai cambiamenti climatici distoglie l’attenzione dalle vere cause.
I consigli di Zena Verde
Attualmente ci sono 170 conflitti nel mondo. Se facciamo due calcoli, l’impatto ambientale, economico e umanitario è così disastroso che sembrerebbe non esserci via di fuga.
I consigli che Zena Verde può darvi su questo fronte sono, senza dubbio, di valutare attentamente la banca in cui depositate i vostri soldi: sapete veramente in cosa vengono investiti?
Sul sito di Banche armate potrete trovare la lista di tutte le banche che investono nel settore bellico, mentre su Banca Etica potrete trovare una validissima alternativa di finanza etica e trasparente (noi, autrici di ZV, ne siamo dirette testimoni).
Anche il voto politico ha un impatto notevole: scegliere chi ci rappresenta conoscendo il loro impegno ambientale e le loro posizioni sul settore bellico aiuterà l’intero pianeta a interrompere questa visione distopica del nostro futuro.
Infine, ma non per importanza, ribellatevi!
Manifestate, riempite le piazze ed usate i vostri corpi per fare pressione su governi e politici. Siate presenti, perché, se si guarda indietro nel tempo, molti diritti li abbiamo conquistati partendo proprio dalle piazze.
Immagine di copertina:
Foto di cyano66. Fonte iStock
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