Sistemi di potere, scandali giudiziari, dinosauri della politica, alleanze, divisioni, finanziatori, criminalità organizzata, campagne elettorali sbiadite, candidati incolori, contenuti timidi, partiti senza ambizione e 745’000 liguri astenuti.
All’alba delle dimissioni di Toti, seguite dal patteggiamento per corruzione impropria e finanziamento illecito, tornava a farsi viva la speranza di chi sognava un nuovo modello regionale che avesse come priorità il bene pubblico al posto degli interessi privati, la sanità pubblica al posto di quella privata, il lavoro di qualità al posto del turismo, i bisogni reali al posto della propaganda mediatica.
D’altronde il campo di battaglia era favorevole: il modello Toti, un castello di carte fatto di propaganda, stava crollando, i procedimenti giudiziari si stavano concludendo con patteggiamenti plurimi e la sanità ligure presentava buchi da 250 milioni di euro con liste d’attesa infinite.
Marco Bucci, il braccio destro di Giovanni Toti scelto come candidato del centrodestra, si poneva in continuità con quel modello. Compare, tra l’altro, innumerevoli volte nell’inchiesta, pur non essendo indagato.
Le intercettazioni su di lui arricchiscono il curriculum del “modello Bucci” a partire dalle telefonate con Toti dove paragonava gli imprenditori del porto ai maiali a cui dava da mangiare da piccolo.
Marco Bucci si presentava comunque come un candidato forte perché, sapendo parlare al suo pubblico, era già riuscito a sconfiggere il centrosinistra per due volte consecutive nel comune di Genova.
Al contrario i due sfidanti, Gianni Crivello e Ariel Dello Strologo, non si distinsero per freschezza, coraggio ed entusiasmo.
In queste elezioni regionali il centrosinistra ha deciso di puntare su un politico di lunghissima data: Andrea Orlando, uno dei massimi dirigenti del Partito Democratico. Orlando è in politica dal 1983, con alle spalle cinque mandati da parlamentare e tre ministeri.
Astensionismo incomprensibile
Una persona indubbiamente onesta e pratica del settore, ma forse incapace di dare un vero segnale di rinnovamento e di discontinuità rispetto ai soliti sistemi di potere che da destra a sinistra si sono alternati in Liguria senza mai differenziarsi alla radice.
E infatti anche a questa tornata elettorale si è ritoccato il record di astenuti in negativo: tra gli elettori di destra demotivati dallo scandalo giudiziario e gli elettori di sinistra delusi dall’offerta politica, l’astensione ha toccato il 54%. Ben più di un ligure su due.
L’astensionismo risulta incomprensibile per chi concepisce il voto come il momento più importante della propria vita politica. Si percepisce rabbia e frustrazione nei confronti di chi non spende nemmeno qualche minuto del proprio tempo per recarsi alle urne.
Ma perché le persone non votano? Gli astenuti sono davvero, come si sente spesso dire, degli ignavi ignoranti, incapaci di comprendere l’importanza del diritto di voto?
L’Istituto Cattaneo ha provato a darsi delle risposte analizzando l’astensione alle elezioni politiche del 2018. Ciò che è chiaro fin da subito è che gli astenuti non sono tutti uguali.
Il dato più interessante riguarda il disinteresse: soltanto un astenuto su dieci non vota per disinteresse, si tratta di una piccola minoranza.
Esiste poi un 25% di astenuti che non riesce concretamente ad andare a votare per “cause di forza maggiore” (fuorisede, anziani soli, ricoverati…). I restanti, invece, si astengono per motivazioni politiche: c’è chi è deluso, chi sfiduciato, chi lo fa per protesta e chi per indecisione non riuscendo a trovare differenze significative tra gli schieramenti.
I tanti delusi dalla sconfitta della sinistra hanno inevitabilmente sentito l’impulso presuntuoso di prendersela con gli elettori avversari per la “complicità” e con gli astenuti per “non aver capito”.
Secondo questa visione il 54% dei liguri che si è astenuto sarebbe stato contagiato da una perdita di buon senso e non avrebbe compreso l’importanza di votare i “giusti”, i “buoni”, insomma… il centrosinistra.
Come se i voti dei cittadini fossero dovuti.
Innanzitutto, la convinzione che gli astenuti avrebbero preferito una giunta Orlando ad una giunta Bucci non è in alcun modo confermata dai dati: rispetto alle regionali del 2020 il centrosinistra ha guadagnato 17’000 voti mentre il centrodestra ne ha persi 90’000.
I nuovi astenuti, stando ad una prima analisi, sarebbero tutti ex-totiani delusi.
In secondo luogo, l’unica domanda interessante da farsi sarebbe: perché le persone nonostante il patteggiamento di un ex-presidente per corruzione, nonostante la sanità smantellata, nonostante le liste d’attesa infinite, nonostante la svendita della regione agli interessi privati, hanno preferito non andare a votare o addirittura votare per la continuità della destra? Perché gli elettori non si fidano della sinistra?
Chi ha bisogno di soluzioni semplici per problemi complessi si risponde: i liguri non capiscono, i liguri sono ignoranti, i liguri sono complici.
Ma è l’elettore che non capisce o il politico che non si fa capire? È l’elettore che si disinteressa o è l’offerta politica poco interessante? È l’elettore sfiduciato o è la classe politica incapace di trovare soluzioni?
Potrebbero sembrare indovinelli in stile “è nato prima l’uovo o la gallina”, ma non lo sono.
Quando lo scarto di voti tra destra e sinistra è così basso le colpe, e quindi gli alibi, diventano molteplici: i litigi dei 5 Stelle, la propaganda pluriennale di Toti, i voti di Scajola, le preferenze della criminalità organizzata, gli astenuti, la scelta dei candidati, la campagna elettorale, le candidature alternative, l’ascendente dell’oroscopo…
Una qualsiasi piccola scelta diversa avrebbe potuto cambiare l’esito delle elezioni, è inutile spaccarsi la testa.
Quando però più di un elettore su due resta a casa il problema è ben più grave. È una responsabilità politica lancinante che dovrebbe scuotere tutte le forze politiche.
Non riconoscerlo con profonda autocritica può solo alimentare il distacco e la sfiducia. A maggior ragione se tra i vertici PD c’è chi definisce la sconfitta come un “risultato comunque prezioso perché il PD è il primo partito ligure e doppia Fratelli d’Italia”.
Non è un buon inizio per avvicinarsi a quel 54% di liguri rimasti a casa.
Fuochi di paglia
Negli ultimi anni l’elettorato ha assistito a innumerevoli metamorfosi: i rottamatori sono diventati affaristi, i rottamati si sono riciclati, gli anticasta si sono mischiati all’establishment, i dinosauri della politica prosperano anziché estinguersi, i corrotti si proclamano martiri, i radicali si trasformano in moderati, i contenuti si appiattiscono, le identità si perdono e gli elettori si allontanano.
La minestra riscaldata è diventata nauseante e le novità si sono rivelate spesso fuochi di paglia.
Ma forse ai partiti non interessa davvero combattere l’astensione perché, se vota il 50% della popolazione, con gli stessi voti si ottiene il doppio del rendimento.
Anche se votano 600’000 persone su 1’340’000, ci si può sempre consolare di essere il primo partito. Gli altri che non votano che si arrangino, sono solo degli ignavi.
“Cazzi loro, non hanno il diritto di lamentarsi”.
Immagine di copertina:
Palazzo della Regione Liguria. Foto di Pietro S.
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