Il Nervi International Ballet Festival 2025 ha aperto le sue notti estive alla danza come rivelazione.
Due mondi apparentemente lontani si sono incontrati sul palcoscenico: la coralità pulsante del Ballet Kiel, sospesa tra Ezio Bosso e Ravel, e l’intimità struggente di “Lost Letters” del Lucía Lacarra Ballet.
La scena, fragile e potente, cerca e talvolta trova la sua verità proprio in questo dialogo di opposti: collettivo e individuale, astratto e narrativo, energia e poesia.
Il viaggio inizia con il Ballet Kiel, guidato da Yaroslav Ivanenko e Heather Jurgensen, i quali hanno portato a Nervi due lavori in netto contrasto ma ugualmente capaci di scavare nell’emozione.

Superfici evocative
L’apertura è un omaggio al tenero e talentuoso musicista Ezio Bosso e prende il titolo dalla prima opera che compose dopo aver conosciuto ciò che la sorte gli aveva riservato: “Following a Bird”, dove la mente può spiccare il volo anche se costretta in un corpo immobile.
La creazione di Yaroslav Ivanenko è costruita mixando una selezione di brani di Max Richter e Kimmo Pohjonen.
La partitura musicale è intensa, ricca di sfumature emotive. Tuttavia, la coreografia sembra non riuscire ad affondare davvero nel tessuto sonoro.
Il movimento è ben strutturato ma appare illustrativo, più attento alla composizione che alla tensione drammaturgica.

In scena, il pianista Vitalii Kyanitsya esegue dal vivo le musiche, ma la sua integrazione nel dispositivo coreografico avviene solo nel finale, durante l’ultimo passo a due: un momento che cerca il dialogo intimo ma che fatica a trasformarsi in narrazione.
A restituire la suggestione più forte è il disegno luci: docce verticali tagliano lo spazio con rigore e delicatezza, creando atmosfere sospese, quasi sacre.
Una scelta che trasforma la luce in elemento coreografico autonomo, capace di moltiplicare i livelli percettivi della scena.
Meno efficace l’impatto dei costumi, che per taglio e cromia sembrano non sostenere la dimensione poetica dell’opera.
Un lavoro che cerca il volo, ma resta ancorato a terra.

Corpi che parlano
Con “Walking Mad”, firmata da Johan Inger, tutto cambia. La scena si apre, si accende, vibra. La coreografia, costruita sulla progressione inesorabile del Boléro di Ravel e chiusa con il silenzio astratto di Für Alina di Arvo Pärt, trova negli interpreti del Ballet Kiel un corpo espressivo potente e organico.
C’è tensione, ironia, vitalità. I danzatori giocano, si scontrano, si rincorrono. Il grande muro di legno al centro della scena è ostacolo e rifugio, confine e trampolino.
Ogni gesto ha una motivazione interna, ogni dinamica è guidata da un’urgenza emotiva che arriva al pubblico.


Fondamentale anche qui l’impianto luci, ma con registro opposto: una americana piazzata frontalmente, con fari puntati verso la platea, satura lo spazio visivo e rovescia la prospettiva, rendendo lo spettatore parte di un sistema scenico squilibrato e vibrante.
Inger non impone un vocabolario, ma sembra ascoltare i corpi, portandoli esattamente là dove il movimento diventa racconto. Il risultato è denso, ironico, essenziale e profondamente scenico.

L’armonia della coerenza
A dividere le due opere non è solo la differenza estetica. C’è qualcosa di più profondo: una diversa qualità di adesione tra gesto e linguaggio, tra corpo e visione.
“Following a Bird” resta trattenuta, quasi timida, nella sua costruzione. “Walking Mad” osa. Si sporca, affonda, ride.
Laddove la prima cerca un’immagine poetica e non riesce a incarnarla, la seconda abbraccia il disordine emotivo e lo trasforma in materia viva.
Se con il Ballet Kiel la scena si è fatta collettiva, corale, intrisa di energia e contrasti sonori, con il Lucía Lacarra Ballet il respiro cambia direzione. Dalla moltitudine al dettaglio, dall’onda dei corpi ad un racconto che si fa intimo come una confessione.
Ci sono spettacoli che si raccontano e poi vi sono quelli che ti restano dentro come un nome dimenticato sulla lingua. “Lost Letters” è questo.


Un silenzio lungo 75 minuti. Senza intervallo. Senza respiro.
Solo occhi spalancati e vene aperte.
Lucía Lacarra non danza. Evapora. Scivola sul tempo come se il tempo fosse un’illusione da attraversare scalzi.
Il suo corpo è una pergamena antica: fragile, assoluta, necessaria.
Matthew Golding, partner in scena e co-coreografo, la guarda come si guarda una cosa che non si possiede. La solleva, la lascia andare. La ama.
Senza farlo vedere troppo. E proprio per questo, si sente tutto.
Sul fondale, un film, girato dallo stesso Golding, ci porta altrove. È un controcanto, una memoria liquida, un altro tempo che scorre in parallelo.
La natura, rocce a picco su di un mare in tumulto, boschi e prati, è silenziosa testimone di un amore vissuto e smarrito, danzato e dimenticato, scritto e mai spedito.
Lucía Lacarra è magnetica. Ha la fragilità incandescente di chi porta in scena il suo stesso cuore.


A metà tra l’eterea precisione di Sylvie Guillem e la profondità struggente di Alessandra Ferri, regala un’interpretazione che è insieme tecnica e abbandono, grazia e vertigine.
E mentre i due danzatori si sfiorano e si perdono, il corpo di ballo intesse una rete di presenze leggere, quasi invisibili, ma necessarie come certe parole nei sogni.
“Lost Letters” è un addio che nessuno ha mai avuto il coraggio di dire. Un bacio danzato tra il ricordo e il desiderio.
Una vertigine morbida.
Un battito che dura più dei noti brani musicali di Sergéi Rachmaninov e Max Richter.
Ed il pubblico ha percepito ogni gesto, come se gli appartenesse
Chiamate in scena e applausi esultanti al Nervi International Ballet Festival.
Alla fine ciò che resta di queste due notti al Nervi International Ballet Festival 2025, non è la differenza tra un linguaggio e l’altro, ma la loro verità di abitare uno stesso spazio con verità diverse.
Due strade che non si incontrano, ma che sul palcoscenico hanno mostrato come la danza sappia ancora sorprendere.
Immagine di copertina:
Following a bird. Fonte Ballet Kiel
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