…Fumo, slogan, tamburi…
Ci sono luoghi che hanno ferite che bruciano come sassi al sole
…Fiamme, vetri, manganelli…
Ci sono città che hanno dovuto superare traumi collettivi
Si può ricucire uno strappo col passato?
Si può proseguire raccontando questo passato a chi non lo ha vissuto?
19 luglio 2001.
C’è stato un prima e un dopo Genova.
C’è chi l’ha vissuta e c’è chi invece se l’è fatta raccontare.
C’è chi ha respirato quell’atmosfera, carica di storia e di storie, e chi invece ha avuto modo di recuperare le informazioni successivamente, anche in maniera molto approfondita.
È proprio il caso di Raffaele Caruso e di Francesco Barabino.
Rispettivamente classe ’73 e classe ’95.
Uno scarto generazionale.
Due libri. Il tema del G8 di Genova al centro.
Raffaele c’era, quasi in prima linea. Francesco non ricorda, era troppo piccolo.
Parliamone
Noi abbiamo voluto incontrarli, per parlare a ruota libera dei loro testi e di ciò di cui trattano. Ne è uscita fuori una conversazione di due ore abbondanti, accompagnate da tocchi di focaccia e pizzette, qualche sospiro e occhi concentrati. Sono stati trattati diversi temi salienti, che ora vogliamo sintetizzarvi.
Partiamo dal fatto che chiunque avrebbe bisogno di affrontare con calma un argomento che genera ancora forti dibattiti, spesso esacerbati da opinioni polarizzate. Proprio tale fossilizzazione del binomio bene/male, che a seconda dell’occasione crea generalizzazioni nei confronti dei manifestanti o delle forze di polizia, non porta profondità alla riflessione degli eventi.
Su questo punto Francesco è molto chiaro. Da qui è voluto partire per la scrittura del suo testo: “G8 Genova 2001: La notte della democrazia”.
Avendo all’epoca dei fatti appena sei anni, non ricorda pressoché nulla. Cresciuto senza ricevere grandi informazioni a riguardo, ha iniziato ad approcciarsi alla questione con curiosità soltanto durante il liceo. È stato poi con l’iscrizione a giurisprudenza che il suo interesse in merito è aumentato ulteriormente, fino ad arrivare alla scelta della tesi di laurea…
Raffaele, invece, ha dovuto convivere per molto tempo con il dolore di quelle giornate. Le domande, i dubbi, i sensi di colpa striscianti e la paura degli elicotteri.
Eh già, la paura degli elicotteri.
Per anni ha associato il rollio di questi ultimi al G8 di Genova, ogni volta che capitava di udirlo. Per tre giorni interi infatti, tra il 19 e il 21 luglio 2001, la loro presenza nei cieli della città è stata costante. Quel rumore che rigava l’aria, facendola tremare insieme alle esplosioni degli spara lacrimogeni, rimarrà uno dei tanti traumi che hanno accompagnato centinaia di manifestanti e non solo.
A Raffaele fu proposto da un amico di diventare avvocato del Genova Social Forum, in occasione dei cortei che si sarebbero tenuti in quella calda estate.
Aveva infatti concluso da pochi mesi gli studi in giurisprudenza. Lui accettò, giovane ed entusiasta, ma con l’opzione di svolgere un ruolo maggiormente d’ufficio, presso via Caffa. L’attività consisteva nel fare da tramite con eventuali arrestati e persone ferite negli ospedali.
Suo malgrado, come sappiamo, il numero di persone coinvolte sotto le voci “arresti” e “feriti” è stato molto più alto di quanto ci si aspettasse. Inoltre, la postazione di lavoro si trovò nell’epicentro degli scontri più violenti, a pochi passi da piazza Alimonda e da via Tolemaide. Un vortice di rumori e di grida.
Di quella settimana convulsa e travolgente, Raffaele ha scritto alcune pagine di diario. Lo fece a caldo, appena il mese successivo agli eventi. C’era il bisogno di sfogarsi, di fissare sulla carta le immagini e le sensazioni che provava, che agitavano i suoi pensieri.
Poi però, negli anni successivi, quelle dodici pagine di ricordi sono state recuperate ben poche volte. L’inconscio, lavorando ottimamente, ha provato a fargli archiviare nei cassetti della memoria un’esperienza per lui segnante.
…Intrecci, dialoghi, sblocchi…
A volte una conversazione può darti coraggio
…Rielaborazione, accettazione…
L’improvviso recupero dei momenti sopiti
Generazioni che si parlano
Quelle di Francesco e di Raffaele sono due generazioni che si sono parlate. Circa diciannove anni dopo la scrittura di quel diario, Francesco si è presentato nello studio dell’avvocato Caruso, in via Caffaro. L’idea per il ragazzo era di iniziare a preparare una tesi di laurea in diritto penale, che si concentrasse sul concetto della tortura. A Raffaele, che nel 2001 era stato tra i primi in assoluto a presentarsi davanti alla caserma di Bolzaneto (pur non riuscendo ad entrarvi), dev’essersi accesa una lampadina…
Oggi, insieme, sono autori di due libri sul G8 del 2001.
Entrambi sono stati pubblicati dalla casa editrice indipendente FOG, all’interno della collana Prospettive (dedicata a un filone politico, nel senso più ampio del termine).
“G8 c’ero anch’io: un avvocato tra le barricate di Genova” di Raffaele Caruso e “G8 Genova 2001: La notte della democrazia” di Francesco Barabino.
Il primo ha deciso di riprendere in mano con convinzione i suoi scritti di vent’anni fa. Grazie al distacco offerto dal tempo trascorso, ha provato a implementarli in un discorso più approfondito, rielaborando un vero e proprio shock.
Il secondo invece ha scelto di adattare la sua tesi di laurea, nel frattempo conclusa e discussa, così da presentarla a un pubblico più ampio. La sua lettura si propone di far luce sui numerosi risvolti dei processi legati alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto.
Raffaele ha spremuto sulla tastiera molti ricordi, dettati dalla sua esperienza personale.
Dalle telefonate agitate, al tentativo di entrare nella caserma degli orrori; dall’aggressione subita, alla serata in cui si trovò di fronte alla Diaz. Era la notte tra il 21 e il 22 luglio, mentre infermieri, giornalisti, feriti e poliziotti si mischiavano, in un tourbillon di umanità che mostrava i tratti di un quadretto infernale.
In quel momento non è riuscito a varcare la soglia del portone di ingresso della scuola. Lo ha fatto la mattina successiva, scorgendo le strisce di sangue sul pavimento.
Francesco ha invece effettuato un lavoro di analisi delle carte processuali, prendendo in considerazione in particolare gli atti dell’accusa nei tre gradi di giudizio.
Riuscire a interloquire anche con la sua generazione, quella cioè composta da giovani donne e giovani uomini che non hanno vissuto quel periodo sulla loro pelle e di cui quasi non possiedono ricordi, è una delle sue speranze per il lavoro compiuto.
Il G8 del 2001, nella nostra città, è un tema che investe chiunque.
Il rischio di cadere nella superficialità è alto.
Dunque avere degli strumenti a disposizione per poter interpretare sia da un punto di vista storico che da un punto di vista tecnico quello che è accaduto, è cruciale.
Perché proprio Genova
Una delle domande che più attanagliano l’opinione pubblica, a maggior ragione con il senno del poi, è: perché, date le palesi problematiche dettate da un’urbanistica non adatta a sostenere un simile evento, si decise comunque di far ospitare il G8 del 2001 al capoluogo ligure?
E poi ancora: qual è stata la prima reazione della città, dopo l’annuncio iniziale?
Raffaele ha provato a dare una risposta a tali interrogativi con un approccio storico.
Dopo il boom economico e demografico sotto la Lanterna, negli anni Settanta la crisi delle grandi industrie ha fatto sentire i suoi colpi pesanti, riverberando sull’intero centro urbano dei costi sociali. La perdita di appeal da parte di Genova è stata acuta almeno fino agli anni Novanta, quando si affacciarono però tre grandi possibilità di riscatto: la prima rappresentata dal cinquecentesimo anniversario dalla scoperta delle Americhe, caduto nel 1992 e celebrato a dovere con le Colombiadi, che hanno modificato profondamente l’assetto di tutto il Porto Antico (articolo di wall:out Dalle Americhe al Porto Antico. Dalle Caravelle all’Expo di Genova); il secondo con il G8 del 2001 e il terzo con l’elezione della Superba a Capitale della Cultura Europea 2004 (articolo di wall:out GeNova 04: un viaggio lungo (solo) un anno).
Inquadrando questi tre appuntamenti in uno stesso filone, atto a “risarcire” una zona d’Italia caduta in depressione e a provare a rilanciarla, si può facilmente immaginare che l’atteggiamento iniziale sia stato interessato. La possibilità che tutta questa visibilità potesse attrarre fondi e investimenti sul territorio, è stata accolta con moderata positività, soprattutto dalle istituzioni.
Con l’avvicinarsi di luglio tuttavia, la forte pressione della stampa e i timori della violenza di piazza presero il sopravvento (articolo di wall:out Il G8 di Genova e quella fake news prima dell’epoca delle fake news). L’ordine pubblico divenne una priorità assoluta, che andava alimentata anche con la paura. La costituzione di una zona rossa per il centro storico dunque fu una delle conseguenze, forse quella più discussa.
I simboli
La nostra vita, le nostre esistenze, le nostre società, fin dall’alba dei tempi sono state scandite dai simboli.
Molte esperienze di comunità prendono forma intorno ad essi. Durante G8 di Genova del 2001 tanti aspetti sono stati resi simbolo. Le maschere dei maiali, le mani pitturate di bianco, ma anche le temute felpe nere, le banche sfasciate.
“Simbolo” deriva dal greco σύμ + βάλλω [sum + ballo], che significa “tenere insieme”.
A differenza di δια + βάλλω [dia + ballo] (“dividere”, “colui che divide”), da cui deriva per esempio la parola “diavolo”.
Nei mesi e negli anni successivi all’incontro dei leader mondiali presso il Palazzo Ducale, sostiene Raffaele, non tutti sono riusciti e riescono tuttora ad andare oltre al famoso estintore. Quello non è un simbolo che condivide chiunque. Soltanto una parte dell’eterogenea moltitudine di piazza là presente riesce a farlo.
Tutti, però, ma proprio tutti, riescono a riconoscersi in quanto è accaduto presso la scuola Diaz e presso la caserma di Bolzaneto.
Chiunque abbia dormito una notte in sacco a pelo durante una vacanza con gli amici, dopo un concerto, con gli scout, a qualche evento lontano da casa, può ritrovarsi in coloro che quella notte decisero di fermarsi a pernottare nei locali dell’attuale Liceo Pertini.
Diventa allora fondamentale comprendere bene cosa sia accaduto proprio alla Diaz e alla caserma di Bolzaneto, prima di soffermarsi sul tumulto delle strade. La sospensione dello stato di diritto che si è avuta vent’anni fa, è un argomento che va sviscerato con attenzione e che deve servire da monito ogni qualvolta che venga messo in discussione il ventaglio di libertà che devono essere garantite (tra cui quella di manifestazione pacifica, da non confondere con i disordini del Blocco Nero).
La visibilità mediatica
Abbiamo concluso la nostra chiacchierata provando a fare alcune riflessioni circa la copertura mediatica del G8 del 2001, ponendo un interrogativo: se lo stesso evento venisse proposto nel 2021 e si dovessero verificare situazioni di tensione analoga, la narrazione sarebbe diversa con la presenza di smartphone e social network? E se si, andrebbe in una direzione migliore o peggiore?
Entrambi gli autori sono concordi che la comunicazione odierna porterebbe verso una viralizzazione delle componenti più drammatiche o violente delle vicende, slacciandole dal contesto, oppure alimentando strumentalizzazioni di sorta.
Tutti gli atteggiamenti collusi con i Black Block diventerebbero i più cliccati, incrementando il rischio di polarizzare ancora di più il dibattito sugli atteggiamenti dei manifestanti e della polizia.
Dunque, da un punto di vista mediatico, oggi sarebbe peggiore di quanto è stato.
Non va sottovalutato il fatto che già vent’anni fa la Superba fu inondata di giornalisti da ogni parte d’Europa e del mondo. Tantissimi freelance accompagnarono i vari cortei, per conto di radio indipendenti e agenzie di comunicazione. Una troupe di registi seguì le manifestazioni, cercando di realizzare un reportage sul campo. E poi, ancora, le macchine fotografiche e le videocamere di tantissimi partecipanti hanno contribuito a formare un serbatoio di immagini immenso, che ha permesso di analizzare numerose sfaccettature di quei giorni, gli errori su ogni fronte, le scene più controverse e quelle più crude.
Questo perlomeno sulle strade di Genova.
In conclusione
È importante continuare a tenere vivo il ricordo sulle dinamiche del G8 di Genova. Il ventennale è un’occasione che strizza l’occhio al nostro bisogno di aggrapparci alle cifre tonde, dunque i materiali e le testimonianze in questi giorni sono e continueranno a uscire in gran numero.
Ma sarà doveroso che successivamente il dibattito non si fossilizzi su posizioni superficiali, come spesso è accaduto in questi primi due decenni. Si deve tentare di superare la dicotomia buoni/cattivi tipica del tifo da stadio.
Raffaele e Francesco sanno bene che parlare di G8, ancora oggi, a distanza di vent’anni, ha un potenziale esplosivo pari alle schermaglie tra tifoserie avverse in città nella settimana che precede il derby. Troppo spesso ciascuno si arrocca su una posizione per partito preso, senza concedere spazio al dialogo, al fare memoria, radicalizzando le rispettive posizioni in un giuoco delle parti ormai insapore e senza esito costruttivo.
E non è infatti questa la reazione che vogliono suscitare coi loro libri, che gemelli non sono, ma legati strettamente sì.
Ci dicono che sono rimasti piacevolmente sorpresi quando hanno ricevuto i primi feedback positivi: sono stati di uomini delle forze dell’ordine, impegnati in quei giorni proprio a Genova (o anche no, ma che sentono come propria la vicenda per spirito di appartenenza), e che nei loro testi hanno letto parole forti e chiare, cioè vere, oneste nei confronti di tutti. Non per cerchiobottismo, anzi, perché scevre da valutazioni preconcette di posizionamento, volte invece a restituire “un atomo di verità”.
È possibile perché fuori dagli schemi sono entrambi gli autori. Raffaele è di formazione cattolica, da giovane si è formato tra oratorio e partito (bianco, ca va sans dire), spinto dagli ideali della non-violenza e della sensibilità nuova al terzo mondo e all’acuirsi delle disuguaglianze, e nel fermento culturale e sociale della Genova di fine millennio (c’era un’aria diversa da quella di oggi solo vent’anni fa!) intercettò istanze di tutt’altre radici e origini.
Francesco, invece, non ha conosciuto e quindi non ha vissuto in alcun modo, non fosse altro per ragioni di età, quelle storie (bianche e rosse, diciamo per semplificare), è scevro da passioni politiche radicali o radicalizzate, ha l’approccio e lo sguardo dell’uomo di diritto, alle sentenze, agli atti processuali, alla cosiddetta “verità processuale”.
La domanda è di quelle toste, da un milione di dollari: come oggi poter andare avanti, superando quelle posizioni avverse radicali e incapaci di farci avanzare?
Raffaele ci suggerisce una locuzione: giustizia riparativa.
È qualcosa di sperimentale nel nostro Paese, nel nostro sistema giudiziario, ancor più nel dibattito politico e quindi sociale e popolare. Si tratta di… guardarsi gli uni gli altri, da donne e uomini quali siamo, nella nostra limitatezza individuale, accettando gli errori senza negarli, senza che siano condanna perpetua e radicale, venendosi incontro da donne e uomini consapevoli delle vicende e dei limiti umani. Non si tratta di giustificare ciò che giustificare non si può. Si tratta di accettare e accogliere innanzitutto i propri errori e fallimenti, ammetterli a se stessi, e così accettare più facilmente errori e fallimenti degli altri.
E ancora non basta. Potrebbe voler significare fare ancora di più. Accettare le proprie responsabilità, anche dolose e dolorose. Accogliere la fragilità e le colpe altrui. Affermandole entrambe.
Forse sembrano solo “belle parole” e “alti concetti”. Eppure queste idee e questi propositi, la cosiddetta giustizia riparativa, si sta dimostrando piano piano e passo passo l’unico strumento vincente, in quanto efficace nel saldare pienamente i conti, satisfattivamente per tutti i soggetti personali coinvolti dalla “ferita sociale del reato”. E questo non solo per quanto concerne il G8 di Genova, ma anche per accettare ciò che accadde negli Anni di Piombo e riuscire a farvi pace, da intendersi sia coi fatti sia tra le persone. Non si tratta di una indulgentia plena con somma assoluzione, proprio no. È davvero qualcosa di altro, di diverso.
Giustizia riparativa. Locuzione che meriterebbe ancora tanto spazio nel dibattito pubblico. Forse potrebbe essere questo il vero donum ferens dei volumi di Francesco e Raffaele.
Autori:
Pietro B. e Edoardo M.
Immagine di copertina:
G8 Genova Stato di Polizia. Fonte Risorgimento Socialista
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