Il cielo non è per tutti

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Giulia Fumagalli nasce a Carate Brianza nel 1990, consegue il diploma accademico di primo livello in Pittura e Arti Visive nel 2012 e il diploma accademico di secondo livello in Arti Visive e Studi Curatoriali nel 2015 presso NABA Nuova Accademia di Belle Arti a Milano.

Nel 2014 costituisce SPAZIENNE insieme a Nicolò Colciago, Stefano Comensoli, Federica Clerici e Alberto Bettinetti, un progetto nomade che sostiene l’idea che tutti i luoghi possono diventare luoghi d’arte.

Espone la sua prima personale nel 2019 +N9/3 chissà come si sente la luna – Megazzino, Garbagnate Milanese, vince la residenza artistica presso ARP Art Residency Project – 2019 Satellite Cape Town, Suburbia Contemporary Art Granada, Centro Luigi di Sarro Roma.

G: Partirei sicuramente dalla sua personale tenutasi lo scorso anno al Magazzino +N9/3 chissà come si sente la luna. Giulia ci narra di una vera e propria ossessione nei confronti delle emozioni e sentimenti che le suscita “tutto ciò che sta sopra di me”, il cielo, le nuvole e la luna. La luna è sempre stato il suo elemento, come il cielo – lassù che la ospita e la protegge, così difficile da raggiungere. non per tutti. Non a tutti capita, contemplando la luna, di venire pervasi da sensazioni nuove e vecchie. 

Il suo lavoro, atipicamente introspettivo, muove da queste sensazioni ed è volto verso la ricerca di una perfezione e armonia estetica.

Sono diversi i momenti della luna di cui vuole parlare, l’eclissi, ad esempio, viene raccontata attraverso una narrazione tra sentimento e forma, con l’utilizzo di due elementi circolari, uno fisso e l’altro mobile, che possono arrivare a nascondersi o meno completamente, sempre in continuo cambiamento.

La sua ricerca si spinge verso la narrazione di una libertà fatta di sensazioni ed emozioni… Viene presentato perciò un prodotto completamente pulito, fragile ma resistente, attento, studiato, esteticamente impeccabile: non ci si può soffermare a notarne le imprecisioni, si può solo osservare e respirare.

A: Giulia e il cielo. Giulia lavora con quello che non può toccare, esplora quel dato non accessibile al corpo, così lontano e così freddo da poter essere esperito solo con la vista, e nessun altro senso. Da qui il grandissimo interesse per la cromatologia e la teoria della percezione: e quel dato lontano, così lontano da svincolarsi dal punto di vista, dalle contingenze del corpo e dalla relatività della luce, cos’è se non l’immagine per antonomasia? Si dice di chi guarda le stelle che sia un sognatore. Chi sogna, immagina. Ecco tutto.

Il «microcosmo» di cui Giulia si definisce esploratrice è direttamente proporzionato al macrocosmo del cielo e dei pianeti, e qui la chiave della sua finezza estetica, di un lavoro che parte da una sensibilità speciale e si oggettualizza con prodotti molto chiari, molto concreti, molto precisi. Mi figuro questo suo microcosmo come un ambiente di sentimenti e sensazioni color pastello: perchè è inutile negare quanto siano presenti emozioni e sentimenti, ma è altrettanto doveroso notare come siano emozioni e sentimenti se non del tutto freddi, almeno tiepidi, cioè, già lontani. Una lontanissima malinconia – un romanticismo poco saturo – si percepisce, infatti, e sono quasi certa che emerga dall’interazione tra la curiosità infantile, aperta e inconsapevole, e la progettazione calibrata dell’oggetto reale. Una distanza creata tra la materia addomesticata e il desiderio di vivere interamente l’immagine senza altri impedimenti.

G: Sì, hai proprio ragione, sono esattamente tiepidi e già lontani quei sentimenti, ma così fragili. In bilico, pronti a rompersi senza prima essere stati manomessi, sono leggeri, instabili e al tempo stesso forti e saldi. Loro è la scia di profumo dal quale veniamo avvolti, quella che lasciano per non essere mai raggiunti, impalpabili. Così perfetti e così irraggiungibili, come il cielo… come le nuvole. Giulia muta con ogni sua opera, e ogni sua opera muta con lei, si perde e si ritrova in ogni suo lavoro, è in attesa di raggiungere una quiete.

La vedi tu questa quiete? Per me si percepisce in ogni suo allestimento.

Giulia Fumagalli, installation view Chissà come si sente la luna, 2019, megazzino, Garbagnate Milanese

A: La vedo e la sento. Lei stessa afferma: “la quiete come obiettivo”. Se l’obiettivo è nel compimento dell’opera – e per Giulia lo è – la quiete è raggiunta. L’ambiente la garantisce, è come una pausa: ti ricordi da bambina quando torni a casa dopo scuola? Solo per poco, lasci in camera la cartella e poi esci a giocare. Ecco, quando sei lì proprio non ci fai caso, ma quella è una pausa che fa bene al cuore: odore, colore e sensazione che tutto è come deve essere. Solo un momento – per assestarmi, poi esco fuori a giocare. La quiete è una pausa, e questo sono le opere di Giulia. Momenti tiepidi perché già lontani, e fragili nel loro vincolo con la temporalità.

Il tempo della contemplazione non è infinito, lei lo sa bene, per questo è fragile. Però la natura della contemplazione può aprire le porte su cosmi che viaggiano a ritmi diversi, o vivono in altri tempi, e sono tutt’altro che fragili: saldamente sicuri, come quando torni a casa dopo scuola, e tutto è come deve essere.

Può bastare molto poco, allora, per scoprire nel cielo la calma, gioia serena, di un ritorno a casa in un giorno comune.

Ma, come dicevamo, non è per tutti.

Realtà Fluida di Ricerca Artistica

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