G: Niccolò vuole scoprire il mondo vivendolo, toccando con mano le sue forme e percependone così le curve più spigolose.
E’ attento, cerca costantemente le parole più giuste per conoscere la sua ricerca… proprio come un poeta. Lui non vuole solo fermarsi a capire, vuole studiare i processi, le percezioni, la cultura per poter appartenere a quel tempo e a quella memoria. (Memory as a form of resilience, Il ponte rotto, 52219682015).
Tempo, parola che durante il nostro incontro non è mai stata detta, ma concetto che in verità è stato sempre presente, tra le righe. Curioso. Lo hai notato anche tu?
A: Costruzione che ci dimentichiamo sempre sia prodotto umano, il tempo non è solo inesorabile come sappiamo bene, ma regola ogni cosa, è onnipervasiva: non puoi fare a meno di fare i conti con il tempo.
Ma c’è fare i conti e fare i conti. Niccolò ci fa i conti a suo modo, esplorandone tutte le sfaccettature possibili. C’è il tempo raccontato, il tempo lontano, il tempo di un dipinto e quello di un’animazione: c’è il tempo di un anziano che parla, un tempo stiracchiato che può anche dilatarsi; c’è il tempo dell’attesa, della noia, della scoperta, c’è il tempo nascosto dietro ad ogni lavoro, che nessuno conoscerà mai. Tutto a suo tempo, si dice, al ritmo di una ricerca per apprendere qualcosa di più sul nostro mondo complesso.
La cultura e la memoria: il nodo è tutto qui, nella relazione tra un passato di riti desueti e un futuro di riti moderni. Tra la tradizione che si sfalda e l’innovazione che avanza c’è una trama che fa da legante, e come dicevamo questa trama è fatta di memoria, e perciò di tempo. Niccolò fa di questa trama il suo riferimento poetico, lo leggiamo in ogni suo lavoro.